venerdì 28 aprile 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


ASPETTANDO GORILLA...

Voci nel parco, Anthony Browne (trad. Sara Saorin)


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"PRIMA VOCE
E' ora di portare Victoria, la nostra labrador di pura razza, e Charles, nostro figlio, a fare una passeggiata. Quando siamo arrivati al parco, ho tolto il guinzaglio a Victoria. E' comparso subito un meticcio arruffato che ha cominciato a darle noia. L'ho scacciato via, ma quell'orribile animale l'ha inseguita per tutto il parco."


Questa elegante signora Gorilla è appena uscita da una villetta in stile vittoriano con il suo bambino, infagottato in un montgomery verdolino e delle belle scarpe di cuoio lucidate a pennello, e si è recata al parco con l'unico scopo di stare seduta impettita al limitare di una panchina. Se il cane può correre libero, al bambino Gorilla è imposta la panchina, accanto alla mamma. Girato per un attimo lo sguardo, tuttavia Charles, questo è il nome del piccolo, sparisce. La mamma lo chiama a lungo fino a che non lo vede in fondo al viale dei tigli che parla con una bimbetta dall'aspetto trasandato. Un richiamo e Charles è di nuovo accanto alla madre, pronto per essere ricondotto a casa ad annoiarsi ancora un po'.
A pagina 7 si conclude malinconicamente la storia della prima voce, quella severa della madre Gorilla.


Ma attraverso la voce numero due, che ha inizio a pagina 8 conosciamo tutta un'altra storia che si affianca alla prima, è proprio il caso di dirlo, sull'altro margine della stessa panchina. E' la voce un po' depressa di un Gorilla un po' trasandato - dove l'ho già sentito? - che legge assorto il giornale e ha portato al parco il suo cane, un meticcio di nome Albert - dove l'ho già visto? - e sua figlia, la piccola Smudge.
Magicamente il cerchio si chiude nella mente dei lettori. 
Quella bambina che ai nostri occhi compare solo in lontananza in realtà aveva già fatto la sua comparsa fin da pagina 3 quando, al fianco di suo padre, sedeva sulla stessa panchina di Charles e di sua madre.


Le rimanenti due voci, è intuitivo, sono di Charles e di Smudge.
I cani ovviamente non parlano, ma continuano a correre.
Insomma un unico parco, un'unica panchina su cui siedono quattro persone e due cani che si inseguono allegri. Le voci sono quelle di una madre apprensiva e un po' snob, quella di un padre un po' male in arnese e in cerca di lavoro, quella di un bambino timido e schivo e piuttosto avvezzo alla solitudine e infine quella di una bambina piena di vita che cerca di far sorridere chi la circonda.
La storia si esaurisce in due parole: un pomeriggio al parco, dove due bambini e due cani fanno amicizia. Eppure i termini del discorso, ovvero come la storia ci viene raccontata, sono una polifonia anche complessa e piena di intrecci disposti in perfetto equilibrio e simmetria. Da un lato i due adulti, un padre e una madre, così distanti tra loro, e dall'altro i due bambini che, al contrario dei rispettivi genitori, entrano immediatamente in dialogo e sintonia. E intorno, quasi a volerli chiudere nel medesimo cerchio, i due cani. 


Signori, ecco a voi, il genio di Anthony Browne. Da quattro esili fili intrecciati con cura si ottiene una trama perfetta: quattro vite tra loro connesse a due a due che si incontrano in quel parco, si sfiorano e poi tornano a dipanarsi ciascuna nella propria esistenza di sempre. Ma come tutti ben intuiscono, per due di loro nulla sarà più come prima. Complice un papavero.
Questo libro ha grossomodo vent'anni ed è una gioia vederlo approdare negli scaffali delle librerie italiane.
Di Anthony Browne, va detto con chiarezza, non ce n'è mai abbastanza.
Lentamente si sta prendendo atto della sua straordinaria capacità di raccontare storie piene di meraviglia e mistero a tutti coloro che vorranno ascoltarle.
Maestro indiscusso dell'albo illustrato, Browne dimostra anche in Voci nel parco l'efficacia del suo metodo di costruzione di un racconto.
In primo luogo si pone come obiettivo quello del NON raccontare tutto. Le sue trame sono piene di GAP, ovvero di buchi, di lacune, di fatti inespressi che resta al lettore il compito di colmare. Molto si gioca sulle assenze, sulle mancanze, sulle sparizioni. Contribuisce a stimolare l'interpretazione personale del lettore il fatto di aver costruito il singolo racconto attraverso quattro prospettive diverse. Molto altro lo fanno i luoghi, veri e propri contenitori 'congelati' in una luce del tutto irreale, che però comunica allo sguardo qualcosa che poi radica nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente. Alludo alla luminosità autunnale che si porta dietro la madre e al raggelato inverno che contorna il racconto del padre. La primavera di Charles e l'estate di Smudge. Ma a ben vedere, quello che a prima vista può sembrare distinto è in realtà commisto e viceversa (si noti l'uso dei lampioni in tal senso nella costruzione dell'immagine). Così come quello che sembra reale, non è altro che un trompe l'oeil: gli alberi si incendiano o diventano altro, le ombre giocano con lo sguardo, mille dettagli richiamano la mente a sempre diverse direzioni da intraprendere. E' una gioia cogliere King Kong sul palazzo, i profili nelle balaustre e Magritte nei lampioni.
Quando l'assurdo diventa normale.


Lo stesso può dirsi per i personaggi che hanno in sé l'assurdo (del gorilla) e la normalità (dell'abbigliamento) perfettamente commisti l'uno nell'altra. Che il tema del gorilla sia uno dei Leitmotiv della poetica di Browne è cosa nota. Ed è anche noto il motivo del suo ossessivo riferimento a questo animale: esso rappresenta ai suoi occhi una meravigliosa 'contraddizione' della Natura, ovvero quella di racchiudere in un corpo capace di grande forza un'indole di totale mansuetudine socievolezza e gentilezza (senza contare di 'sovrumana' intelligenza). Ma i gorilla non sono l'unico tema ricorrente che attraversa il libro. Va notato cosa accade al cappello, preannunciato fin dal frontespizio, o ancora ai due cani che sono un vero e proprio ricamo, una sorta di 'sottotesto iconico' che arriva fino all'ultima immagine. Vedere per credere...
L'altra grande cifra distintiva risiede nella cura per ogni dettaglio - dalle figure oppure oggetti che scontornano i margini delle cornici che li contengono, all'equilibrio tra testo e immagine - dell'oggetto libro, che Browne cura personalmente e che contribuisce a far rientrare tutto in un univoco flusso di interpretazione. Penso ai quattro font differenti che rendono inconfondibili le quattro diverse narrazioni, ma che nello stesso tempo sono 'specchio' dei caratteri dei protagonisti. Elegante e 'classico' il primo, quello della madre ordinata e precisa e molto attenta all'esteriorità. Il secondo, la voce del padre, è un grassetto che denota la pesantezza del vivere, anche per l'occhio. Il terzo, quello del bambino timido, è sottile e delicato come lui, mentre Smudge 'racconta' il suo punto di vista con un font scanzonato, infantile proprio come si dimostra essere lei. 


Ecco queste sono sono alcune delle cose che fanno di Anthony Browne un maestro indiscusso e insuperato. E nella fattispecie Voci nel parco, The Tunnel e Gorilla, più prossimo, sono forse i suoi migliori libri in cui si dimostra l'enorme forza che può raggiungere il linguaggio visuale: uno dei più sonori schiaffi sulla guancia di quelli che dicono che i libri con troppe immagini e poco testo hanno troppo costo e poco valore. E, magari pure, che non son letteratura...

Carla

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