ASPETTANDO GORILLA...
Voci nel parco, Anthony
Browne (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2017
ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)
"PRIMA VOCE
E' ora di portare Victoria, la
nostra labrador di pura razza, e Charles, nostro figlio, a fare una
passeggiata. Quando siamo arrivati al parco, ho tolto il guinzaglio a
Victoria. E' comparso subito un meticcio arruffato che ha cominciato
a darle noia. L'ho scacciato via, ma quell'orribile animale l'ha
inseguita per tutto il parco."
Questa elegante signora Gorilla è
appena uscita da una villetta in stile vittoriano con il suo bambino,
infagottato in un montgomery verdolino e delle belle scarpe di cuoio
lucidate a pennello, e si è recata al parco con l'unico scopo di
stare seduta impettita al limitare di una panchina. Se il cane può
correre libero, al bambino Gorilla è imposta la panchina, accanto
alla mamma. Girato per un attimo lo sguardo, tuttavia Charles, questo
è il nome del piccolo, sparisce. La mamma lo chiama a lungo fino a
che non lo vede in fondo al viale dei tigli che parla con una
bimbetta dall'aspetto trasandato. Un richiamo e Charles è di nuovo
accanto alla madre, pronto per essere ricondotto a casa ad annoiarsi
ancora un po'.
A pagina 7 si conclude malinconicamente
la storia della prima voce, quella severa della madre Gorilla.
Ma attraverso la voce numero due, che ha
inizio a pagina 8 conosciamo tutta un'altra storia che si affianca
alla prima, è proprio il caso di dirlo, sull'altro margine della
stessa panchina. E' la voce un po' depressa di un Gorilla un po'
trasandato - dove l'ho già sentito? - che legge assorto il giornale
e ha portato al parco il suo cane, un meticcio di nome Albert - dove
l'ho già visto? - e sua figlia, la piccola Smudge.
Magicamente il cerchio si chiude nella
mente dei lettori.
Quella bambina che ai nostri occhi compare solo in
lontananza in realtà aveva già fatto la sua comparsa fin da pagina
3 quando, al fianco di suo padre, sedeva sulla stessa panchina di
Charles e di sua madre.
Le rimanenti due voci, è intuitivo,
sono di Charles e di Smudge.
I cani ovviamente non parlano, ma
continuano a correre.
Insomma un unico parco, un'unica
panchina su cui siedono quattro persone e due cani che si inseguono
allegri. Le voci sono quelle di una madre apprensiva e un po' snob,
quella di un padre un po' male in arnese e in cerca di lavoro, quella
di un bambino timido e schivo e piuttosto avvezzo alla solitudine e
infine quella di una bambina piena di vita che cerca di far sorridere
chi la circonda.
La storia si esaurisce in due parole:
un pomeriggio al parco, dove due bambini e due cani fanno amicizia.
Eppure i termini del discorso, ovvero come la storia ci viene
raccontata, sono una polifonia anche complessa e piena di intrecci
disposti in perfetto equilibrio e simmetria. Da un lato i due adulti,
un padre e una madre, così distanti tra loro, e dall'altro i due
bambini che, al contrario dei rispettivi genitori, entrano
immediatamente in dialogo e sintonia. E intorno, quasi a volerli
chiudere nel medesimo cerchio, i due cani.
Signori, ecco a voi, il genio di
Anthony Browne. Da quattro esili fili intrecciati con cura si ottiene
una trama perfetta: quattro vite tra loro connesse a due a due che si
incontrano in quel parco, si sfiorano e poi tornano a dipanarsi
ciascuna nella propria esistenza di sempre. Ma come tutti ben
intuiscono, per due di loro nulla sarà più come prima. Complice un
papavero.
Questo libro ha grossomodo vent'anni ed
è una gioia vederlo approdare negli scaffali delle librerie
italiane.
Di Anthony Browne, va detto con
chiarezza, non ce n'è mai abbastanza.
Lentamente si sta prendendo atto della
sua straordinaria capacità di raccontare storie piene di meraviglia
e mistero a tutti coloro che vorranno ascoltarle.
Maestro indiscusso dell'albo
illustrato, Browne dimostra anche in Voci nel parco
l'efficacia del suo metodo di costruzione di un racconto.
In primo luogo si pone come obiettivo
quello del NON raccontare tutto. Le sue trame sono piene di GAP,
ovvero di buchi, di lacune, di fatti inespressi che resta al lettore
il compito di colmare. Molto si gioca sulle assenze, sulle mancanze,
sulle sparizioni. Contribuisce a stimolare l'interpretazione
personale del lettore il fatto di aver costruito il singolo racconto
attraverso quattro prospettive diverse. Molto altro lo fanno i
luoghi, veri e propri contenitori 'congelati' in una luce del tutto
irreale, che però comunica allo sguardo qualcosa che poi radica
nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente. Alludo alla
luminosità autunnale che si porta dietro la madre e al raggelato
inverno che contorna il racconto del padre. La primavera di Charles e
l'estate di Smudge. Ma a ben vedere, quello che a prima vista può
sembrare distinto è in realtà commisto e viceversa (si noti l'uso
dei lampioni in tal senso nella costruzione dell'immagine). Così
come quello che sembra reale, non è altro che un trompe l'oeil:
gli alberi si incendiano o diventano altro, le ombre giocano con lo
sguardo, mille dettagli richiamano la mente a sempre diverse
direzioni da intraprendere. E' una gioia cogliere King Kong sul
palazzo, i profili nelle balaustre e Magritte nei lampioni.
Quando l'assurdo diventa normale.
Lo stesso può dirsi per i personaggi
che hanno in sé l'assurdo (del gorilla) e la normalità
(dell'abbigliamento) perfettamente commisti l'uno nell'altra. Che il
tema del gorilla sia uno dei Leitmotiv della poetica di Browne
è cosa nota. Ed è anche noto il motivo del suo ossessivo
riferimento a questo animale: esso rappresenta ai suoi occhi una
meravigliosa 'contraddizione' della Natura, ovvero quella di
racchiudere in un corpo capace di grande forza un'indole di totale
mansuetudine socievolezza e gentilezza (senza contare di 'sovrumana'
intelligenza). Ma i gorilla non sono l'unico tema ricorrente che
attraversa il libro. Va notato cosa accade al cappello, preannunciato
fin dal frontespizio, o ancora ai due cani che sono un vero e proprio
ricamo, una sorta di 'sottotesto iconico' che arriva fino all'ultima
immagine. Vedere per credere...
L'altra grande cifra distintiva risiede
nella cura per ogni dettaglio - dalle figure oppure oggetti che
scontornano i margini delle cornici che li contengono, all'equilibrio
tra testo e immagine - dell'oggetto libro, che Browne cura
personalmente e che contribuisce a far rientrare tutto in un univoco
flusso di interpretazione. Penso ai quattro font differenti che
rendono inconfondibili le quattro diverse narrazioni, ma che nello
stesso tempo sono 'specchio' dei caratteri dei protagonisti. Elegante
e 'classico' il primo, quello della madre ordinata e precisa e molto
attenta all'esteriorità. Il secondo, la voce del padre, è un
grassetto che denota la pesantezza del vivere, anche per l'occhio. Il
terzo, quello del bambino timido, è sottile e delicato come lui,
mentre Smudge 'racconta' il suo punto di vista con un font
scanzonato, infantile proprio come si dimostra essere lei.
Ecco queste sono sono alcune delle cose
che fanno di Anthony Browne un maestro indiscusso e insuperato. E
nella fattispecie Voci nel parco, The Tunnel e
Gorilla, più prossimo, sono forse i suoi migliori libri in cui
si dimostra l'enorme forza che può raggiungere il linguaggio
visuale: uno dei più sonori schiaffi sulla guancia di quelli che
dicono che i libri con troppe immagini e poco testo hanno troppo
costo e poco valore. E, magari pure, che non son letteratura...
Carla
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