lunedì 11 settembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ...TUCANO

Tucano il tucano, David McKee (trad. Alessandra Valtieri)
Lapis 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI

"C'era una volta un uccello che non aveva un nome.
Aveva un becco enorme ed era tutto nero, tranne per gli occhi, che erano bianchi. Gli altri animali, che invece un nome ce l'avevano, ridevano di lui. E questo lo faceva soffrire molto. Un giorno, stufo di essere preso in giro, decise di partire in cerca di fortuna."


Montagne e fiumi non sono per lui un ostacolo. Arriva in città e si cerca un lavoro. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, diventa un ottimo trasportatore di pacchetti e cose varie: tra queste i barattoli di vernice, anche due alla volta. Per questa ragione lo chiamano tutti Two Can. Il giorno in cui Two Can prova a portarne tre di barattoli, succede uno sconquasso: i barattoli si rovesciano, il colore si spande ovunque e il povero tucano scivola per le scale imbrattandosi tutto di rosso, bianco e arancio. Quella vernice non va più via e il suo umore invece va a terra.


Riprende così la strada di casa, fiumi e montagne superati, arriva nella foresta di partenza. Questa volta tutto colorato. Nessuno riconosce in lui il tucano nero di partenza e quando gli viene chiesto il nome lui risponde candido, Two can. Sarà stato per il fruscio delle foglie o per qualche barrito più potente, fatto sta che gli animali capiscono 'tucano'. E da lì nessuno si è più mosso: quell'uccello dal piumaggio nero, con la pettorina bianca e dal gran becco arancio e rosso è ormai tucano per tutti.

Per festeggiare i 40 anni, la casa editrice Andersen Press, lo storico editore di David McKee, decide di ripubblicare nella sua prima versione del 1964 (ne esiste un'altra ridisegnata intorno al 1985 e totalmente diversa da questa, per volumetria e movimento dei personaggi) il suo primo libro, Two Can Toucan. 
Dell'originale rispetta ogni parte: formato, colori, lettering e l'alternanza delle pagine a colori con quelle solo rosse. Ed è un tuffo nel passato, nella tipologia di libro a risparmio (laddove solo un lato del grande sedicesimo era a colori, mentre l'altro era in B/N + un colore), nel tipo di segno di quegli anni in cui i libri per bambini si conquistavano più libertà cromatica e il segno si elaborava e si sintetizzava e arrivavano anche storie come queste. 


In Italia tutto questo prese forma, dopo qualche anno, con la collana Tantibambini, ideata da Bruno Munari per Einaudi. Che a rivederla oggi, con poco meno di una settantina di titoli, piange il cuore pensare che sia fallita per il prezzo troppo basso che i librai in quegli anni boicottarono.
Quadrati, un po' come Two Can Toucan, con una grande ricchezza non sempre felice di stili e registri, se non direttamente nel segno - sebbene i complessi intrecci della città e delle imbarcazioni di McKee molto mi ricordano quelli di André Francois (Il piccolo Marroncini, Einaudi 1972) - di certo nell'uso così spregiudicato del colore non possono non venire messi in connessione. Il mondo psichedelico anglo-americano, cui McKee con garbo e con misura allude, prorompe qui, complice anche la decina d'anni passati nel frattempo.


La storia di questo uccello nero, per forma e contenuto, avrebbe potuto essere uno dei titoli di Tantibambini.
E' innovativo a sufficienza.
A guardarlo oggi, Tucano il tucano, in questa sua prima versione, mi colpisce, non solo per le tinte piatte degli elefanti azzurri e delle tartarughe rosa, ma piuttosto per la grande capacità di sintesi del tratto, in particolare nelle geometrie delle architetture e nelle tessiture delle murature, delle cortecce o dei barattoli, ma anche nella fila dei tetri impiegati di banca. Il prato monocromo, rosso, su cui si impone la macchia nera dell'uccello ancora senza nome, è un piccolo capolavoro di modernità, un manifesto di quegli anni ruggenti.


Sebbene Tucano il tucano non sia stato il libro che ha dato la fama a McKee, tuttavia esso ha un tema di fondo che poi si svilupperà in Elmer, di qualche anno posteriore, che invece ha contribuito largamente a costruire la fortuna di McKee.
A ben vedere l'emarginazione del tucano è la stessa di Elmer, entrambi condividono l'allontanamento dal gruppo, entrambi cercano da soli una soluzione al loro problema, entrambi tornano 'cambiati' a tal punto da non essere riconosciuti. Per entrambi è previsto un finale lieto, quasi edificante.
Non entro nel merito del politically correct, perché la correttezza in questo ambito è davvero oscillante a seconda delle epoche, mi limito a prendere atto che Elmer è nato nella testa di David McKee dall'urgenza di scrivere una storia che stigmatizzasse certe forme di razzismo di cui lui stesso fu testimone, camminando per la città con sua figlia Chantel, ad evidenza quella stessa Chantel cui ha dedicato Tucano il tucano.


Tanto per chiudere il cerchio.

Carla


Nessun commento:

Posta un commento