venerdì 29 settembre 2017

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

COSA SI PUO' DIRE DEI COLORI
 


Sono molti gli aggettivi che possono descrivere il libro, ora pubblicato da L'Ippocampo, che Cruschiform ha dedicato ai colori: Colorama. Tutti superlativi, naturalmente, tale è l'effetto che provoca lo sfogliare questo strano, ricchissimo repertorio di colori. L'autrice, a capo dello studio grafico, Marie-laure Cruschi, mette insieme un campionario di tonalità, ben 133, affiancando ciascuna con un'immagine che ne spiega la storia, o l'uso, o le curiosità che sono connesse. Tanto che, alla fine, segue un articolato indice per argomenti che consente di percorrere le stesse pagine seguendo un'altra logica, per esempio cercando gli animali, o i tessuti, o i minerali.


E' una vera e propria miniera di curiosità ed aneddoti, di cui posso indicarne alcuni per rendere l'idea della struttura del libro. Laddove si parla del Rosa Pastello, si sottolinea come l'attribuzione del rosa alle bambine sia un fatto relativamente recente, mentre, per esempio nel medioevo, era più indicato l'azzurro. O la differenza fra Beige e Greige, una mescolanza fra grigio e beige; quale oggetto può essere associato ad un colore così indefinibile? La seta dell'omonimo baco. Oppure, che dire della gamma dei neri: dal Nero Kajal al Nero All Blacks, con la loro tradizione, insieme sportiva e tribale. E, se colpisce sicuramente l'accuratezza con cui sono posti in sequenza i colori, quello che più intriga è il connetterli non sono a descrizioni storiche o di costume, ma al proprio personale alfabeto cromatico, quello che appartiene all'esperienza di vita vissuta. Come il Viola associato ad un profumo, l'Acqua di Parma, o il Verde Limonata alla Menta. Tutti/e noi potremmo associare determinate sfumature di colore a stati d'animo, ricordi, esperienze.


E qui veniamo alla questione che spesso si pone di fronte a libri in cui la ricercatezza e il rigore formale spiccano come aspetto prevalente del progetto editoriale: sono libri adatti ai giovani lettori e lettrici? Francamente non credo l'autrice si sia posta la domanda, ma credo nello stesso modo che questo, come altri libri proposti da questo editore, sia alla fine non solo un elegante esercizio di stile cui ispirarsi, nemmeno soltanto un curioso viaggio nel tempo attraverso i colori, ma sia soprattutto una matrice, lo spunto sistematico di un'esplorazione ludica e cognitiva sul piano del bello, quel concetto così sfuggente eppure così empiricamente evidente per uno sguardo 'educato'. Giocare con i bambini ad inventarsi altre proprie associazioni è una delle strade possibili per cercare la bellezza, l'armonia anche dove non c'è, almeno apparentemente. Ed è un gioco, o un esercizio, che può essere portato avanti a qualunque età.
Per comprendere meglio la struttura del libro non c'è che da sfogliare, virtualmente, alcune pagine.

Eleonora

“Colorama”, Cruschiform, L'ippocampo edizioni 2017


mercoledì 27 settembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

CARTOLINE DALLA TERRA

Metropolis, Benoit Tardif (trad. Tommaso Gurreri)
Clichy 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"ROMA popolazione dell'area urbana: 4,3 milioni; lingue più parlate: italiano; paese : Italia.
gelato Colosseo secondo la leggenda, la bocca della verità morde la mano ai bugiardi lambretta Pantheon vigile fontana di Trevi pizza margherita utilitaria caffè basilica di San Pietro papa piazza del Popolo obelisco."


Il giro del mondo in trentadue tappe importanti - le città più significative, talvolta le capitali - che prende l'avvio da Montreal, città dell'autore Benoit Tardif e poi gira per il globo da nord a sud e in senso rotatorio (non si può dire da Est a Ovest perché entrambi i punti cardinali si spostano con il girare lungo la superficie della Terra).
Per poi concludersi a Sud, all'estremo opposto del Canada: la Nuova Zelanda con Auckland.


Per ogni tappa due grandi pagine con alcune costanti: il numero approssimativo degli abitanti dell'area costruita, la lingua parlata e lo stato di appartenenza. Per ogni metropoli, Benoit Tardif costruisce una sorta di collage di cartoline di luoghi, persone e contesti, come pure di attrattive imprescindibili (il gelato a Roma) che hanno l'obiettivo di dare una visione d'insieme che non privilegi nulla rispetto al tutto,che renda equivalenti monumenti importanti e venditori ambulanti. Come farebbe un bambino.
Le cartoline si affiancano secondo nessi inaspettati, come le collegherebbe in bambino: accanto a Rembrandt, Van Gogh e Vermeer al Rijksmuseum c'è una bici-taxi e appena sotto il ritratto di Gullit, una celebrità olandese con il pallone ai piedi, a cui qualcuno sta offrendo, dalla cartolina successiva, un cartoccio di patatine fritte con maionese, salsa di arachidi e cipolle.


Un libro che non può passare inosservato, come nulla di quello che esce dalle mani di Benoit Tardif. In perfetta sintonia con il segno che contraddistingue le sue copertine, i suoi poster anche in Metropolis ritroviamo il medesimo gusto per i colori forti, piatti, serigrafici e per un segno potentemente grafico. Come altrove, anche qui lo spazio a disposizione viene sfruttato fino all'ultimo millimetro libero, creando qualcosa che ricorda l'effetto di una tessitura astratta.


Benoit Tardif, oggi a capo di una interessante operazione editoriale, la casa editrice De ta Mère che ha appena festeggiato i suoi primi undici anni (!), racconta del suo modo di costruire le figure: dopo aver disegnato con cura il contorno nero ricalca le parti con il colore per poi scansionarle e comporle con Photoshop. Molto diversamente che nelle immagini per giornali e pubblicità, sulle copertine dei libri o anche nelle immagini interne lui si mette alla ricerca di un mood comune che rispecchi alla perfezione il tono del libro, senza mai tradirlo. Tuttavia, ammette lui stesso, non tutti i libri sono adatti a questo stile. Temi ricorrenti, e anche in Metropolis, sono il cibo e certi personaggi disegnati in modo infantile che però hanno un quid di immediatamente chiaro e comunicativo. Tutto appare leggibile, anche in quasi totale assenza di parole.


Lo spazio che invece si concede in qualità di autore e che mi solletica indagare è dato punte di ironia qua e là e soprattutto dall'assoluta libertà di accostamento dei singoli elementi distintivi delle diverse città. Non credo di sbagliarmi se noto che nell'accostamento è possibile cogliere al meglio la sensibilità, l'immaginario, il gusto di questo autore finora mai pubblicato in l'Italia. Nella griglia di ogni pagina esistono solo 11 cartoline e nella dura selezione che deve aver necessariamente fatto mi pare si annidi uno dei valori di questo strano libro.
Vado a cercare le città su cui posso ricorrere al mio personale repertorio di ricordi: Berlino, per esempio, offre tratti di autenticità interessanti anche se apparentemente trasversali o addirittura marginali: il venditore di kebab può davvero essere elemento tipico di quella città? certamente sì, accanto alla Bode Insel dei musei! La porta di Brandeburgo e l'orso come icone di una città. L'omino del semaforo (così tanto reiterato in magliette, borse, e copertine di quaderni) accanto al musicista tecno e per chiudere il Muro con i suoi graffiti. Non c'è tutto, ma c'è molto e pochi gli stereotipi. C'è quel che serve a incuriosire ragazzini e ragazzine.


Dulcis in fundo, non posso non condividere quasi in blocco tutte le scelte che attengono al cibo, espressione importante di ogni cultura e ricordo irrinunciabile dopo ogni viaggio: i loukum a Istanbul, il tè alla menta a Fes, i blini a Mosca, le tapas di Barcellona, la baguette di Parigi...
Ma Copenaghen con il suo smorrenbrod dov'è?

Carla

lunedì 25 settembre 2017

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


RODDY DOYLE, IL GENIO
 

Lo aspettavamo ed eccolo qui, il nuovo libro dei Ridarelli, magica invenzione comica del maestro irlandese: I Ridarelli. Rover e il Pupo Bello Grosso, pubblicato, ovviamente, da Salani.
L'ho aperto con un certo timore, confermato dalle prime pagine, un po' troppo piegate a recuperare lo schema narrativo del primo titolo, Il Trattamento Ridarelli. Poi, la storia prende il volo, con un ritmo vorticoso, tanto quanto la coda del giovane Messi, nipote di Rover. E si susseguono a raffica situazioni assurde, interventi di personaggi stravaganti, dai vecchi ben conosciuti crackers ai nuovi arrivati, i fiocchi di cereali, fino al rocambolesco finale.
Due parole sulla trama: Rover, il cane procacciatore della materia prima con cui i Ridarelli puniscono gli adulti intemperanti, la cacca, è invecchiato, ma sempre in gamba ed è affiancato dal nipote Messi, dotato di una coda troppo grande che gli fa perdere l'equilibrio; Messi è anche un cane ordinato e l'unica cosa che può smorzare i suoi entusiasmi mentre scodinzola, rischiando di inciampare, è pensare al grande disordine che regna sotto il cielo. I Ridarelli svolgono, non visti, sempre lo stesso mestiere, di guardiani della serenità infantile; quando inizia la storia hanno un bel da fare, con tutti gli adulti scortesi o prepotenti nei confronti dei bambini. Sono sempre loro, ma si è aggiunto un Ridarello piccolo piccolo piccolo, dotato di un gran vocione. Chiamano, dunque, Rover, per farsi fornire del giusto quantitativo di cacca fresca. Ma, proprio mentre Rover si appresta a compiere il suo dovere, ecco che la Pupa Bella Grossa, nipote dei coniugi Mack che noi già conosciamo, vola dritto dentro un furgone bianco, o così sembra. Inizia un rocambolesco inseguimento in cui tutti i personaggi umani che conosciamo, i signori Mack e i figli, invecchiati o cresciuti, si lanciano dietro al furgone, insieme a Rover e a Messi, che nel frattempo non dimenticano di raccogliere cacche di tutte le forme e misure. Sapevate che l'Europa tutta è attraversata dalle gallerie dei conigli?. Beh, lo saprete leggendo questo libro. Intanto i Ridarelli attendono e tutto sembra perduto, ma il finale riesce a mettere tutti i tasselli al posto giusto, e chi deve essere punito lo sarà.
Come al solito, il testo pullula di personaggi stravaganti, vecchi e nuovi: dai crackers chiacchieroni ai micidiali fiocchi di cereali, decisi a conquistare il mondo, dalla verdura che vive in frigorifero al gabbiano che compare sul finale. I titoli dei capitoli danno il loro contributo alla conduzione anarchica e grottesca della narrazione.


Nonostante questa storia, la quarta della serie dei Ridarelli, non possa godere dell'effetto sorpresa, è comunque un esempio magistrale di comicità tutta pensata ad altezza bambino. Il gusto di animare gli oggetti e di farli entrare come presenza disturbante nella storia, l'andamento non lineare, con digressioni su digressioni seguendo l'ispirazione del momento; il rispetto per il pensiero bambino, cui si attribuisce un modo autonomo di vedere il mondo; e infatti i bambini sanno che i cani parlano, solo che poi se lo dimenticano crescendo. E il gusto di immaginare che sì, c'è proprio qualcuno nascosto dietro i cespugli pronto a colpire gli incauti genitori o insegnanti, troppo severi o troppo distratti. Con la punizione più liberatoria che si possa immaginare.
Consiglio caldamente la lettura ad alta voce, sbizzarrendosi con le voci dei diversi personaggi, tenendo presente che l'umorismo travolgente di Roddy Doyle richiede lettori e lettrici capaci di apprezzare l'ironia, il ribaltamento dei ruoli, il gusto del grottesco.
Ci sono solo due piccoli appunti: uno, del tutto sentimentale, riguarda le illustrazioni, che in questo libro sono della brava Fabiana Bocchi; ma io sono affezionata al Rover di Brian Ajhar, che non ha firmato nemmeno l'edizione inglese. L'altra è l'incomprensibile traduzione nel titolo di Big Fat Baby, in italiano al maschile nel titolo e al femminile in tutto lo svolgimento del racconto, trattandosi di una bella bambina cicciotella. Ma una revisione dei testi (e del titolo!) non si può fare?

Eleonora

“I Ridarelli. Rover e il Pupo Bello Grosso”, R. Doyle, ill. di F. Bocchi, Salani 2017

giovedì 21 settembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


PIÙ SI È MEGLIO È

Il piccolo re, Taro Miura (trad. Elena Barboni)
Fatatrac 2016


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Il tavolo da pranzo del Piccolo Re era grande grande.
Ogni giorno il cibo veniva servito in quantità su questo tavolo lunghissimo e il Piccolo Re non riusciva mai a finire tutto.
Il mezzo di trasporto ideale del Piccolo Re era un cavallo bianco grande grande. Come avrebbe mai potuto cavalcarlo?
E ogni volta che ci provava, il Piccolo Re veniva spazzato via dalla coda dell'animale."

Il Piccolo Re è piccolo, nonostante i suoi baffi bianchi e la sua corona giallo oro, tutto gli è abbondante: il castello, i soldati, la vasca da bagno, il letto. Tutto è grande grande per lui così minuto. Soldati alti e minacciosi, letti e vasche da bagno in cui è facile smarrirsi, cibo che non si riesce a finire sono tutte le cose che quotidianamente lo preoccupano un po'. Il Piccolo Re non si perde d'animo e capisce che la soluzione è a portata di mano (di manina).
Si sposa una bella principessa grande grande. Con lei vicino non è più solo e non è più perduto. Con lei mette su una famiglia grande grande con ben 10 bambini e lo spazio si riduce magicamente a tal punto dal farlo decidere di rimandare a casa tutti i suoi soldati (ben felici di farlo). Ora il castello è tutto per loro, il tavolo e il cibo sono finalmente proporzionati e anche il letto con la Grande Regina da un lato e tutti i suoi bambini in mezzo è perfetto per fare sogni d'oro.


Taro Miura qui abbandona l'ambito più consueto in cui in Italia è conosciuto: il design applicato all'illustrazione (Ton, Corraini 2004; Arnesi, Corraini 2005; Lavori in corso, Corraini 2007; Workman Stencil, Corraini 2014). E veste i panni del narratore di storie. In perfetta coerenza editoriale abbandona Corraini per Fatatrac.
La creazione sulla pagina di oggetti e personaggi attraverso la scomposizione e giustapposizione di forme geometriche, di silhouette riassuntive che ricordano quelle della segnaletica stradale, di immagini che alludono immediatamente al loro significato e che si imprimono altrettanto rapidamente nella memoria visiva di ciascuno: questo è il repertorio cui ha abituato i suoi lettori Taro Miura nei libri Corraini.
Qui cambia qualcosa e Il piccolo re pare essere un unicum, un diversivo a tutti gli effetti, sebbene esista un suo corrispettivo al femminile, ben meno bello, che si intitola The Big Princess (Walker 2014).
A un autore, che finora ha dimostrato di preferire il segno alle parole e alle sequenze narrative, è venuta voglia di cimentarsi con una storia da scrivere e da illustrare. 


Il registro scelto è la fiaba, narrazione per eccellenza che però permette di mantenere il gusto per la sintesi nei nessi temporali serrati e improbabili, necessari a tenere sempre alta l'attenzione di chi ascolta a scapito di ogni criterio oggettivo di realtà.
Come in ogni fiaba che meriti questo nome, anche qui si saltano le lungaggini delle connessioni e si privilegiano i fatti salienti. E se questo comporta un pizzico di magia, ben venga.
A ogni tema è ascritta una grande tavola. A parte la prima, in cui in un nero profondo galleggia solo soletto il Piccolo Re, tutte le altre sono dedicate alle singole 'stazioni' e sono sempre molto movimentate : il castello, le truppe, il pranzo, il cavallo e così via. In ognuna di queste il piccolo re rimane minuscolo: alle prime, distinte dal fondo nero che allude alla sua inquietudine, fanno seguito quelle coloratissime che segnano la svolta affettiva e in cui compare la gigantesca principessa, di lì a poco regina, e a seguire i dieci marmocchi enumerati con precisione.



Elementi grafici e costruzioni geometriche riempiono le pagine e danno forma al racconto. I piccoli inserti fotografici sono una gioia per chi ama spigolare nelle immagini: nella copertina per esempio una gambetta del re è un raffinato gancio allusivo alla conclusione felice della fiaba. Oppure le mani che, sempre disegnate come cerchi rosa, diventano pugni serrati nel brandire le spade e le alabarde o pugnetti chiusi che tengono il lembo del lenzuolo.
Potere del segno! E Taro Miura è sempre Taro Miura, anche se il nitore dei libri con Corraini qui viene meno.
I colori sono primari e piatti e hanno la prerogativa di dare ulteriore risalto ai rari inserti fotografici o a china o ancora calcografici.


Dietro tutto questo si nasconde una fiaba che per alcuni tratti salienti ricorda quella raccolta dalla tradizione nordica di Pollicino che sposò la Grande Principessa, presente nella Grande Enciclopedia della Favola curata da Gianni Rodari (Editori Riuniti 2002). Sebbene qui manchi il finale tragicomico della prima, in cui il povero Pollicino affoga per ingordigia in una tazza di crema il giorno dello sposalizio, tuttavia rimane in piedi il gioco del minuscolo e del gigantesco che insieme fanno ridere. Inevitabilmente.


Voler vedere a tutti i costi che la morale della storia sia quella per cui nella famiglia si trova la soluzione di ogni problema, circostanza che alcuni critici hanno rilevato, a me pare tutto sommato marginale rispetto ad altri significati effettivamente più condivisibili, quali per esempio l'allontanamento dei soldati che fanno luogo ai giochi dei bambini, o ancora di più la condivisione della ricchezza di cibo e materassi. 


Carla

lunedì 18 settembre 2017

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


MA LE PIANTE PENSANO?
Ecco una nuova frontiera della scienza, un territorio ancora poco esplorato che nasconde molte sorprese. La vita delle piante è, infatti, di recente salita agli onori della cronaca grazie, soprattutto, al testo di un esperto tedesco, Peter Wohlleben che con La saggezza degli alberi ha conquistato anche i pubblico dei non addetti ai lavori.
Recentemente, è uscito un testo di uno scienziato italiano, Stefano Mancuso, Plant Revolution, pubblicato da Giunti, che con solide argomentazioni ci mette di fronte a domande imbarazzanti, quali: le piante hanno memoria? Sono un modello biologico più versatile e resistente rispetto al mondo animale? Come afferma l'autore, le piante consumano pochissima energia, hanno un'architettura modulare, un'intelligenza distribuita e nessun centro di comando: non c'è nulla di meglio sulla Terra cui ispirarsi. Il libro, leggibile anche da un profano, apre davvero orizzonti nuovi per chi era abituato ad interrogarsi sul mondo animale, che pure di sorprese ne ha presentate e ne presenta tuttora moltissime. Ma se questa è una frontiera verso cui ci spinge lo sviluppo della scienza, è forse cambiata la percezione del mondo vegetale nei libri per bambini? Ripensando al premiatissimo Il mondo segreto delle piante, direi proprio di si, così come Vagabonde  ha alimentato l'interesse per le piante più umili che ci siano, le infestanti.

Anche recentemente è uscito un nuovo testo in una collana, tradotta dall'anglosassone Templar, che meriterebbe maggiore attenzione. Nel nostro caso segnalo Come vivono le piante. Guida interattiva al mondo vegetale, pensato per lettrici e lettori dagli otto anni, un libro più semplice rispetto a quelli citati sopra, comunque un testo che insegna a guardare con curiosità alle piante, sottolineando gli aspetti più interessanti, curiosi, stimolanti: viene raccontata la fisiologia, la riproduzione, la distribuzione nel mondo, il ruolo insostituibile nel sostentamento del nostro pianeta. Le immagini sono chiare e sono accompagnate da animazioni che consentono l’interazione, dimostrando ancora una volta che un libro illustrato e animato non è necessariamente rivolto solo ai più piccoli. Certo, qui non si trova direttamente l'eco delle questioni aperte e che sono attualmente oggetto di ricerca. Ma si percepisce una cura maggiore al dettaglio, alla precisione delle informazioni, alla complessità delle relazioni fra animali e piante all'interno di un ecosistema. Mi sembra, in poche parole, che si faccia strada uno sguardo meno superficiale e più ravvicinato ad un mondo che conosciamo assai poco. Sperando sempre che saperne di più faccia crescere nuove domande ed induca ad un maggior rispetto verso il mondo naturale che ci è attorno. Dalle erbacce disegnate in Vagabonde, ai libri illustrati sugli alberi, vogliamo sperare che le generazioni future siano meno indifferenti nei confronti della natura, strana o comune, grande o piccola, esotica o nostrana. Il rispetto comincia qui e ora, dal terrazzo di casa al giardino pubblico, al parco o a quel che ne resta dopo un’estate di incendi.
Eleonora
“La saggezza degli alberi”, P. Wohlleben, Garzanti 2017 
“Plant Revolution”, S. Mancuso, Giunti 2017
 “Come vivono le piante. Guida interattiva al mondo vegetale”, Ideeali 2017

venerdì 15 settembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA CHIMICA DI UN INCONTRO

La lucertola e il sasso, Giovanna Zoboli, Massimo Caccia
Topipittori 2017



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

"Il sasso è caldo. Alla lucertola piace il sole.
La lucertola è verde. Al sasso piace la primavera.
Il sasso è fermo.
La lucertola è rapidissima
Il sasso tace. La lucertola ama il silenzio."

Non svelo nulla se commento che sono fatti l'uno per l'altra. Entrambi amano la quiete: a lei piace stare ferma e lui, per natura, non fa mai gran moto e non ama chi lo fa. Questo è un altro motivo che li tiene insieme. Come li metti li metti sasso e lucertola oppure lucertola e sasso sono come pane e burro. perfetti assieme.
Lui viene da chissà dove lei arriva da chissà quando e ogni giorno si trovano e si scelgono: le lucertole e i sassi.


Che bellezza! Giusto, viene da dire che bellezza quando si è di fronte a una così forte intesa, e non sto solo facendo riferimento a quella tra la lucertola e il sasso, ma più direttamente a quella evidente tra chi scrive e chi disegna.
E se mi è concesso un paragone, la lucertola è l'una e il sasso è l'altro.


Non credo di dover dimostrare quanto sia guizzante la mente di Giovanna Zoboli, ma mi piace qui assimilare Massimo Caccia a un sasso per silenziosità connaturata, per rotondità e levigatezza del suo segno.
Della 'sassitudine' prende a prestito da un lato certa propensione alla pacatezza e dall'altro la consistenza piena, senza smagliature dei suoi magnifici disegni. Alla pacatezza aggiungerei certa delicatezza, per esempio nella presentazione dei due protagonisti, rispettivamente 'assenti' nelle pagine che ritraggono i loro corrispettivi. 



Provo a spiegare: il sasso è caldo si legge e si vede il sasso a fare bella mostra di sé, segue la frase alla lucertola piace il sole e la lucertola è assente, ma al suo posto è visibile un cerchio arancione che è il sole. La pagina successiva mostra la lucertola verde e al posto del sasso che ama la primavera compare solo una margherita il cui bottone centrale è di nuovo un sole, ma in scala ridotta.
Massimo Caccia il meglio di sé lo esprime nei suoi animali, categoria che predilige ritrarre. Anche in La lucertola e il sasso come altrove sono colti - qui e ora è proprio il caso di dirlo - come da un'istantanea con il flash che fa loro sgranare gli occhi, che li immobilizza e li rende, e torna la sassitudine, minerali di se stessi. L'altra sua capacità sta nel disporli all'interno dello specchio della pagina in modo mai convenzionale.


Già altrove è stata sottolineata la cifra molto personale, inconfondibile, delle sue opere, tele o illustrazioni che siano, una sensibilità per i colori non comune e una capacità di alludere attraverso il 'silenzio' di un disegno apparentemente algido a molte cose che le parole tacciono.
La qualità che riconosco in questo libro fatto di così poco sta proprio nel non dire, nel grande silenzio quieto che avvolge questo incontro, nell'instancabile togliere, sfrondare per raggiungere la necessaria 'leggerezza' dovuta a una sapiente capacità di sintesi e a un lavoro certosino di levigatura di testo e immagine. Tanto più si purificano i due linguaggi comunicativi - quello testuale e quello iconico - da ogni superfluo, tanto più la storia magicamente assume carattere di universalità.
E non è la prima volta che ciò avviene in libri a firma Giovanna Zoboli. Ancora una volta sono qui a riconoscerle il merito di dimostrare grande attenzione per la scelta delle parole, che la porta evidentemente a un lessico parsimonioso e di grande efficacia. Tra una frase e l'altra, divise anche fisicamente dal taglio della pagina, si crea uno iato, un vuoto che spetta al lettore colmare con un nesso logico. Tutto il libro è costruito in tal modo: la lucertola è verde/al sasso piace la primavera oppure La lucertola sta immobile/il sasso ama la quiete oppure si crea una sorta di eco interna: il luogo lontanissimo richiama il tempo lontanissimo o ancora il binomio lucertola/sasso che si specchia in se stesso diventando sasso/lucertola.
Tutto questo, e non è poco, attiene agli aspetti più formali, diciamo discorsivi del testo, ma qual è la sostanza dell'intera storia? 



Forse davvero la semplicità di un gesto in natura che diventa esempio cosmico di come funzioni quello che, per usare una parola modaiola ma maledettamente centrata, è la chimica degli incontri.


Carla


Noterella al margine. Queste riflessioni sono il mio modo per 'esserci' anche se non ci sarò. E mi riferisco alla inaugurazione di una libreria, sabato 16, che mi è molto cara che fa il suo debutto con la mostra delle tavole originali e la presentazione del libro.


mercoledì 13 settembre 2017

FAMMI UNA DOMANDA!


COLORI IN GIOCO

Quando si ha a che fare con un libro di Tullet si corre spesso il rischio di cogliere soprattutto l'esuberante inseguirsi di colori e di invenzioni grafiche, perdendo di vista la costruzione logica del libro, la sua struttura.


Meritoriamente L'Ippocampo edizioni pubblica ora un libro di Tullet del 2013, the Big Book of Art, pubblicato da Phaidon, uscito ora per il pubblico italiano con il titolo Giochi d'Arte. La traduzione italiana del titolo anticipa quella che è la filosofia di questo libro: unire l'aspetto ludico, con la sperimentazione anche casuale di arditi accostamenti di pagine, con quello più strettamente didattico. Infatti il bambino o la bambina che sfogliano questo libro sono invitati ad accostare forme diverse, a dar loro un senso, a scoprire quale evoluzione possono avere le forme e i colori.
Il libro, con robuste pagine cartonate, spesso tagliate a metà per consentire gli accoppiamenti più originali, è diviso in cinque parti, che riguardano scarabocchi, forme, colori, lettere e segni; ovvero, pagina dopo pagina, si susseguono schemi diversi, linee, pagine traforate, macchie, lettere, che possono essere composte insieme e poi trasformate nuovamente; qualche volta questi abbinamenti producono un'immagine cui è facile attribuire un significato: un omino seduto, un pesce che nuota. Ma spesso l'immagine che si produce può essere apprezzata per il rapporto armonico di colori, per le linee che si inseguono.


Nell'essere un libro 'pensato', in cui ciascun abbinamento ha un suo perché, è nello stesso tempo un libro 'ad altezza bambino', che parla la lingua dello scarabocchio, del pasticcio di colori così caro ai bambini.
E' un libro che si può usare così, direttamente, giocando insieme ai piccoli lettori e lettrici, sfogliando le pagine e divertendosi, ma può anche essere usato come matrice di infinite sperimentazioni, che possono, magari utilizzare materiali diversi, altre tecniche.


Ovviamente l'interazione con l'adulto è richiesta, ma non tanto nel senso che un bambino o bambina non saprebbe utilizzarlo, quanto per la preziosa esperienza della condivisione di un momento ludico e creativo, in cui ciascuno può mettere la propria capacità inventiva. D'altra parte, lo stesso editore ha proposto di Tullet un testo di didattica artistica, La fabbrica dei colori. I laboratori di Hervé Tullet, una vera e propria guida alle attività artistiche dedicate ai più piccoli, con l'accurata descrizione di materiali e modalità di realizzazione. La sua visione dell'attività creativa , che si evidenzia in tutte le sue opere, mira a rendere il bambino e la bambina padroni dei propri mezzi espressivi, così come li possono esprimere in quel momento; non importa tanto l'estetica del risultato finale, quanto l'esperienza stessa, la possibilità di sperimentare, insieme ad altri bambini o con un adulto, la ricchezza delle proprie capacità espressive.
Con buona pace di chi vorrebbe i disegni dei bambini precisi e ordinati.

Eleonora

Giochi d'Arte”, H. Tullet, L'ippocampo edizioni 2017

lunedì 11 settembre 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ...TUCANO

Tucano il tucano, David McKee (trad. Alessandra Valtieri)
Lapis 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI

"C'era una volta un uccello che non aveva un nome.
Aveva un becco enorme ed era tutto nero, tranne per gli occhi, che erano bianchi. Gli altri animali, che invece un nome ce l'avevano, ridevano di lui. E questo lo faceva soffrire molto. Un giorno, stufo di essere preso in giro, decise di partire in cerca di fortuna."


Montagne e fiumi non sono per lui un ostacolo. Arriva in città e si cerca un lavoro. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, diventa un ottimo trasportatore di pacchetti e cose varie: tra queste i barattoli di vernice, anche due alla volta. Per questa ragione lo chiamano tutti Two Can. Il giorno in cui Two Can prova a portarne tre di barattoli, succede uno sconquasso: i barattoli si rovesciano, il colore si spande ovunque e il povero tucano scivola per le scale imbrattandosi tutto di rosso, bianco e arancio. Quella vernice non va più via e il suo umore invece va a terra.


Riprende così la strada di casa, fiumi e montagne superati, arriva nella foresta di partenza. Questa volta tutto colorato. Nessuno riconosce in lui il tucano nero di partenza e quando gli viene chiesto il nome lui risponde candido, Two can. Sarà stato per il fruscio delle foglie o per qualche barrito più potente, fatto sta che gli animali capiscono 'tucano'. E da lì nessuno si è più mosso: quell'uccello dal piumaggio nero, con la pettorina bianca e dal gran becco arancio e rosso è ormai tucano per tutti.

Per festeggiare i 40 anni, la casa editrice Andersen Press, lo storico editore di David McKee, decide di ripubblicare nella sua prima versione del 1964 (ne esiste un'altra ridisegnata intorno al 1985 e totalmente diversa da questa, per volumetria e movimento dei personaggi) il suo primo libro, Two Can Toucan. 
Dell'originale rispetta ogni parte: formato, colori, lettering e l'alternanza delle pagine a colori con quelle solo rosse. Ed è un tuffo nel passato, nella tipologia di libro a risparmio (laddove solo un lato del grande sedicesimo era a colori, mentre l'altro era in B/N + un colore), nel tipo di segno di quegli anni in cui i libri per bambini si conquistavano più libertà cromatica e il segno si elaborava e si sintetizzava e arrivavano anche storie come queste. 


In Italia tutto questo prese forma, dopo qualche anno, con la collana Tantibambini, ideata da Bruno Munari per Einaudi. Che a rivederla oggi, con poco meno di una settantina di titoli, piange il cuore pensare che sia fallita per il prezzo troppo basso che i librai in quegli anni boicottarono.
Quadrati, un po' come Two Can Toucan, con una grande ricchezza non sempre felice di stili e registri, se non direttamente nel segno - sebbene i complessi intrecci della città e delle imbarcazioni di McKee molto mi ricordano quelli di André Francois (Il piccolo Marroncini, Einaudi 1972) - di certo nell'uso così spregiudicato del colore non possono non venire messi in connessione. Il mondo psichedelico anglo-americano, cui McKee con garbo e con misura allude, prorompe qui, complice anche la decina d'anni passati nel frattempo.


La storia di questo uccello nero, per forma e contenuto, avrebbe potuto essere uno dei titoli di Tantibambini.
E' innovativo a sufficienza.
A guardarlo oggi, Tucano il tucano, in questa sua prima versione, mi colpisce, non solo per le tinte piatte degli elefanti azzurri e delle tartarughe rosa, ma piuttosto per la grande capacità di sintesi del tratto, in particolare nelle geometrie delle architetture e nelle tessiture delle murature, delle cortecce o dei barattoli, ma anche nella fila dei tetri impiegati di banca. Il prato monocromo, rosso, su cui si impone la macchia nera dell'uccello ancora senza nome, è un piccolo capolavoro di modernità, un manifesto di quegli anni ruggenti.


Sebbene Tucano il tucano non sia stato il libro che ha dato la fama a McKee, tuttavia esso ha un tema di fondo che poi si svilupperà in Elmer, di qualche anno posteriore, che invece ha contribuito largamente a costruire la fortuna di McKee.
A ben vedere l'emarginazione del tucano è la stessa di Elmer, entrambi condividono l'allontanamento dal gruppo, entrambi cercano da soli una soluzione al loro problema, entrambi tornano 'cambiati' a tal punto da non essere riconosciuti. Per entrambi è previsto un finale lieto, quasi edificante.
Non entro nel merito del politically correct, perché la correttezza in questo ambito è davvero oscillante a seconda delle epoche, mi limito a prendere atto che Elmer è nato nella testa di David McKee dall'urgenza di scrivere una storia che stigmatizzasse certe forme di razzismo di cui lui stesso fu testimone, camminando per la città con sua figlia Chantel, ad evidenza quella stessa Chantel cui ha dedicato Tucano il tucano.


Tanto per chiudere il cerchio.

Carla