domenica 25 gennaio 2015

CORTESIE PER GLI OSPITI (libri preferiti da altri)


SAGGEZZA YIDDISH


It Could Always be Worse, Margot Zemach-Farrar, 
Farrar, Straus and Giroux 1976




In questi giorni di freddo grigiore invernale, mentre accendo il fuoco e mi siedo al computer nella casetta di paese che abito per la più parte del tempo da un po’, penso spesso che le cose non vanno. Che la casa ha troppe scale, è troppo vecchia, che non ha un impianto di riscaldamento, che è troppo piccola. Ma ieri, mentre disegnavo al tramonto davanti alla finestra che dà sui tetti e sulla collina… mi sono ricordata di un libro che insegna a vedere le cose diversamente, soprattutto a modificare il nostro comportamento, perché la realtà in cui siamo immersi possibilmente ci sorrida, offrendoci la faccia migliore.

E’ un racconto della tradizione Yiddish molto divertente, forse lo conoscete già… in questa edizione impreziosito dalla mano di un’illustratrice (e autrice, suo anche il testo) che mi è particolarmente cara, l’americana Margot Zemach.

Un pover’uomo abita con la sua numerosa famiglia (madre, moglie e sei bambini) in una minuscola catapecchia. Vivono accalcati gli uni sugli altri in perenne agitazione, i bambini litigano, la nonna annaspa e brontola, la moglie si arrabbia e urla. In un crescendo di confusione che approda al delirio collettivo, l’uomo si reca dal rabbino per chiedere consiglio prima di piombare nello sconforto totale.



Il caso è triste, miseria e malasorte sembrano accanirsi contro il poveretto, per giunta il frastuono derivante dalla convivenza forzata gli logora i nervi. Il rabbino ci pensa su lisciandosi la barba, poi domanda “Dimmi pover’uomo, per caso… possiedi qualche animale domestico, che so, uno o due polli?” e a risposta affermativa aggiunge “Bene, allora vai a casa e porta le galline, il gallo e l’oca a vivere nella catapecchia con voi”. Non poco perplesso, l’ometto fa dietro-front e si appresta ad obbedire… Naturalmente, dopo qualche giorno di convivenza tra umani e polli, il caos è peggiorato sensibilmente. Mentre i bambini continuano a crescere (e le mura sembrano restringersi!), al loro infernale schiamazzo si aggiunge il perenne starnazzo dei volatili, le cui piume volteggiano nell’aria e finiscono nella minestra.



Davvero non resta che tornare dal rabbino, le cose non potrebbero andare peggio! Il rabbino ascolta, ci pensa e chiede “Pover’uomo, per caso… possiedi una capra?”. Sì, c’è una capra nel recinto… Bene, conclude il rabbino, che l’uomo torni a casa e porti anche la capra a vivere nella catapecchia.

Nonostante il senso crescente di disagio e frustrazione, l’uomo obbedisce. Va da sé che dopo qualche giorno la miscela di umani e animali è ancora più esplosiva… alle bizze irrefrenabili dei bambini (sempre più grandi e grossi dentro quel loro buco di casa), allo stridore che si leva dal pollame brulicante, si aggiunge l’indomito ardore della capra, che si fa largo a cornate nel discinto carnaio in cui è costretta.



Il pover’uomo è distrutto, ma non sa che altro fare se non tornare dal rabbino, sempre confidando in un barlume di speranza che derivi dalla sua comprovata saggezza. La capra sembra impazzita, la vita è realmente divenuta un incubo… che fare? Il rabbino ci riflette su e poi domanda “Dimmi un po’ pover’uomo, per caso possiedi una mucca? Se ce l’hai, vai a casa e portala a vivere con voi”. “Oh no, no di sicuro!” esplode l’uomo… ma il rabbino è irremovibile e non gli resta che obbedire ancora una volta. Col cuore gonfio di disperazione, torna sui suoi passi e, come un automa, esegue il diabolico precetto. Trascorsi pochi giorni, la devastazione è totale nella stamberga, la guerra è ormai di tutti contro tutti e l’uomo può a stento credere a tanta sfortuna.



Vero è che non può fare altro se non tornare dal rabbino a chiedere aiuto, con voce affranta lo supplica di salvarlo dall’orribile incubo, con la mucca il parossismo della convivenza è giunto al culmine, tutto nella catapecchia è sopraffazione e devastazione, non c’è nemmeno spazio per tirare il fiato… Il rabbino anche questa volta si prende un attimo per riflettere e poi gli ordina di tornare a casa e di riportare fuori tutti gli animali. L’uomo obbedisce alla svelta, è forse la prima volta che sente di dovergli dare ragione! Fa uscire dalla sua bicocca i polli, l’oca, la capra e la mucca e si richiude la porta alle spalle con enorme sollievo. Improvvisamente la pace regna sovrana, la notte scende e reca il giusto ristoro a tutta la famiglia, ciascuno trova il suo giaciglio e si abbandona dolcemente nella ritrovata quiete.



Il giorno dopo, il pover’uomo torna dal rabbino e stavolta per ringraziare. “Hai reso la mia vita piacevole e tranquilla, solo con la mia famiglia la casa è finalmente diventata pacifica e accogliente… mi hai reso un grande piacere!”.


Ora vado ad accendere il fuoco, perché mentre vi scrivo sento che i piedi si stanno gelando… Ma intanto è come se questo delizioso libro di Margot Zemach mi avesse solleticato ravvivando la circolazione per tutto il corpo. Un racconto felicemente adattato, testo e immagini, così pieno di disordine, sgomento, agitazione e di brio. Di un rinato senso delle proporzioni e della misura, che ci vuole duttili quanto basta per fare del nostro cantuccio un riparo e una festa, anche quando siamo in tanti e lo spazio sembra esiguo. Perché dobbiamo sapere e ricordare che potrebbe essere molto peggio e che invece, con un po’ di sforzo collettivo, si può fare un paradiso in terra anche di un guscio di noce… Perché la vita richiede ai più un notevole spirito di adattamento, ma quasi sempre ripaga. Aggiustando essa stessa il tiro, dimodoché – io almeno la vedo così - il piacere sia proporzionale alla fatica che facciamo per conseguirlo.

Beninteso, ho il sospetto che sotto sotto… questa storia Yiddish voglia dire molto altro, ma lascio a ciascuno di noi di allargare la portata del messaggio oltre il destino individuale. Se non avvio alla svelta il fuoco mi prendo un malanno e ci vuole sempre un po’ a far attecchire la fiamma…



Daniela (Tordi)












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