sabato 13 dicembre 2014

CORTESIE PER GLI OSPITI (libri preferiti da altri)


LA BELLEZZA DEL DOLORE


L’Ours et le Chat Sauvage, Komako Sakai, Kazumi Yumoto, 
L’école des loisirs 2009




Il titolo di questo toccante libro cela una presenza in verità assai ingombrante. Tra l’orso e il gatto selvatico si dispiega il filo di un ricordo dolce e al tempo stesso molto doloroso, la memoria viva di una creatura morta. L’ombra saltellante di un piccolo uccello venuto a mancare (come solo agli uccellini accade, d’un soffio).

Era il più grande amico dell’orso. E il gigante ora veglia annichilito la minuscola salma. Colosso che diventa d’argilla, dovendo prendere atto che il bene più prezioso, l’amico più caro, giace inerte.



La vita è questo? Sembra pensare l’orso, assorto in una contrizione così composta da trasmetterci con assoluta efficacia l’idea di un vuoto inconsolabile, di uno sbigottimento talmente forte da pietrificare. Nel suo mesto dolore, il tenero orso si appresta a celebrare un lungo commiato, con determinazione e coraggio adempie al suo dovere. Taglia un albero e costruisce una piccola bara, la dipinge col succo delle bacche selvatiche, la riempie di petali profumati e vi adagia il corpicino del compagno, che in quel graziosissimo nido quasi sembra addormentato…



Quanti ricordi. Le lagrime scorrono sul muso dell’orso, che solo pochi giorni addietro disquisiva con l’uccellino proprio sul senso del tempo, su l’oggi che subito diventa ieri eppure è già domani. Se solo si potesse tornare indietro! Com’è veloce il cambiamento, la cosa che più vorrebbe adesso è riavere il suo amico vivo. Il suo amico prediletto, vigile e impettito, allegro e… perfetto.




Così, avvolto dalla pena e dal mistero della mancanza, lo veglia per un tempo infinito. Le sue grosse spalle non sanno, non possono arginare la piena del rimpianto e dell’amarezza. La sua possente mole si accascia su una sedia per giorni, è come un grande e immobile grumo che si forma sotto il peso dell’accadimento più inaudito dell’universo. La morte. Assenza definitiva, ineluttabile, certa.



Poi, all’improvviso, dopo una lunga clausura, aprendo la finestra l’orso annusa il profumo dell’erba. Esce con la piccola bara sempre tra le mani, si mette in cammino, attraversa il bosco, raggiunge la riva del fiume e ammira il verde profondo dei prati. Con stupore, scorge un gatto selvatico appisolato vicino al greto e accanto a lui una grande scatola. Da subito ne è curioso, si fa coraggio e parla (non lo fa da giorni e giorni!), chiede al gatto di mostrargli il contenuto del grande involucro. Il bel gattone lo asseconda e domanda a sua volta di vedere che cosa c’è nella scatolina dell’orso. E quando vede l’uccellino morto adagiato trai petali dice una cosa semplice che funziona come un balsamo: “Questo piccolo uccello doveva contare molto per te. Ti mancherà terribilmente…”. Poi apre la sua di scatola e ne trae un violino. “Suonerò qualcosa per te e per il tuo amico”.



La musica dolce e suadente del violino evoca una nuova messe di ricordi, l’orso ne è quasi sopraffatto. Gli torna in mente quando una donnola ha rincorso l’uccellino, gli ha strappato le penne della coda e l’orso ha creato per lo sfortunato amico una livrea d’eccezione, raccogliendo e imbastendo foglie minute. L’uccellino, triste ed umiliato, aveva indossato con eleganza la coda posticcia e il trucco aveva funzionato! La musica gli fa ricordare anche il solleticante becchettio con cui l’uccellino lo svegliava tutte le mattine, e il tiepido odore delle piume bagnate quando facevano il bagno nel lago. E ora…




Ma stavolta il flusso della memoria, riannodata dalle note, si concilia con l’impulso, il bisogno naturale di travasare vita nella vita. L’orso seppellisce la minuscola bara in una radura assolata e si ripromette di non piangere più, perché in ogni caso lui e l’uccellino saranno amici per sempre. E quando il gatto dice che per lui, musico ambulante, è ora di riprendere il cammino e aggiunge “Vieni con me orso, ecco, prendi il tamburello”… l’orso – che a tutta prima vorrebbe domandare se il gatto ha già un amico speciale - confida che il tempo e il cammino li rendano complici, accetta, prende il tamburello e va. Coraggiosamente.




Racconto profondamente tenero e malinconico, pervaso di una tale dolcezza da guarire la stessa ferita che genera nell’animo. La crudezza del distacco e della perdita sono accompagnate da un’autentica, grande bellezza, da un tocco così gentile che, man mano che ci scava dentro il solco del dolore, lo riempie di grazia. Le tavole di Komako Sakai sono struggenti, un impasto di ombre e di luci perfettamente calibrato. Non credo sia casuale che la tecnica usata ricordi il bassorilievo: il vuoto che genera il pieno. Non si può non amare questa semplice storia, che ci fa sondare l’orlo dell’abisso e, in punta di piedi, ci conduce nella radura dove la luce riaffiora… Non è un libro facile. E’ un libro molto bello.



Daniela (Tordi)

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