venerdì 3 maggio 2013

CORTESIE PER GLI OSPITI (libri preferiti da altri)




Emily Dickinson’s Letters to the World, Jeanette Winter
Frances Foster Books, 2002
Il primo libro di cui vi parlo, Letters to the World, di Jeanette Winter è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2002. E’ disponibile in un piccolo numero di costosissime copie nuove ed un discreto numero di copie usate e a buon mercato via Amazon (come tutti i libri che tratterò, posto che nella mia esperienza l’usato è sempre in ottime condizioni e consente di ammortizzare in parte il costo di spedizione).
E’ un libro di piccolo formato, in verità abbastanza ambizioso, poiché si tratta di una mini-biografia, rivolta ai bambini, della poetessa Emily Dickinson. Corredato peraltro da una cernita di poesie che al dunque – rispetto all’insieme del testo - la fanno da padrone.  
Mi piace cominciare da qui per due ragioni. Intanto, perché da noi è molto raro che si pubblichino biografie per bambini, un genere che viene forse considerato indigesto o comunque poco appetibile. Inoltre, perché l’autrice è un esempio abbastanza calzante del tipo di approccio che, in genere, gli illustratori anglosassoni hanno al libro per l’infanzia. Parlando della propria formazione, Jeanette dice “… volevo fare disegni che raccontassero storie…”. Sembra lapalissiano, ma non lo è. Mettersi al servizio di una storia significa concepire il segno in funzione della narrazione, prima di qualunque altra velleità. E’ una dichiarazione d’intenti cha fa da spartiacque tra un tipo d’illustrazione divulgativa e didascalica (che pure può benissimo raggiungere un alto livello di espressione artistica) ed un’illustrazione che aspira ad affermarsi soprattutto in virtù della propria valenza estetica. La prima è una forza centrifuga, la seconda è centripeta.


Letters to the World ha un’altra caratteristica che lo rende abbastanza inusuale. Comincia con la raffigurazione di una bara portata da quattro ometti lungo un pendio erboso, dove una grossa ape ronza noncurante del triste corteo. Ma è davvero triste? La bara, di legno biondo, è sormontata da un letto di fiori violacei e scivola lungo il prato sotto la pacifica ala del sole. Niente nel disegno crea un senso di lacerazione, tutto si compone in una cornice lieve, con un accento di pacata ritualità. Il passaggio fisico e metaforico (il corteo, la morte) viene raffigurato senza enfasi e senza retorica, in una cornice perfettamente naturale, poiché dominata da elementi di natura. Con grande semplicità, l’autrice trasmette dunque al bambino il senso di un evento che si concilia con l’idea stessa di universo, la fine-non fine di tutti gli esseri viventi. Di cui suggerisce, con esemplare ed estrema economia di mezzi, l’eterno trasmutarsi degli uni negli altri. Quale modo migliore d’inoculare l’idea stessa di poesia? Un lutto - la bara trasporta proprio Emily, che la sorella piange compostamente, ma soprattutto ricorda, scandendone la memoria nelle pagine successive – che si combina col mistero del creato. E grazie alla successione di poesie (21) che di lì a poco il libro fa affiorare, Emily muore e vive in un tutt’uno, se ne va e ritorna, perché i versi sono per definizione una genesi, il luogo dove la lingua ricrea, fertile più che mai. Non so se Jeanette Winter abbia razionalizzato tutto questo, non credo. 


Il suo tratto naif – ispirato all’arte folklorica messicana – è così essenziale e colorato da dissipare ogni ombra e da evocare in un modo delicato, sereno e dopotutto giocoso la personalità di una tra le voci più limpide della poesia di tutti i tempi. Senza autocompiacimenti o eccessi di nessun tipo, l’autrice consegna ai piccoli lettori la chiave per assaporare e comprendere la bellezza dei versi, che accompagna con immagini vivide e immediate. Originali, ma mai soverchianti rispetto al testo. Con un senso della misura che trovo incantevole. Un piccolo prodigio di equilibrio che si sposa dunque con la grazia di versi indimenticabili, offrendo ai bambini non una scorciatoia, ma un cammino sicuro e diretto per arrivare a sondare un’indubbia profondità di senso. 

 

Daniela (Tordi)

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