mercoledì 18 gennaio 2012

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


UN BAMBINO E IL SUO PAPA'

BRUNO IL BAMBINO CHE IMPARO' A VOLARE, Nadia Terranova, Ofra Amit,
Orecchio acerbo, 2012

ILLUSTRATI PER MEDI (dagli 8 anni)

"Jakob si mischiava e si impastava con il mondo per guardare tutto con occhi nuovi e diventare ogni volta un po' meno se stesso.
Bruno spiava le instancabili gesta di suo padre e si chiedeva come fare a imitarlo.
Non aveva gambe svelte, né arguzia accesa, né occhi mutevoli.
Era troppo timido e troppo piccolo."


In cinque righe trovo racchiuso il senso di questo gran libro.

Jakob e Bruno: padre e figlio. Sono un bambino e il suo papà.
Un papà piuttosto particolare capace di continue mutazioni. Un giorno poteva diventare un innocuo uccello rapace, che la governante Adela cercava di respingere con la scopa, il giorno dopo poteva essere un ragno veloce che si inerpicava sulla libreria e al quale la solita Adela dava la caccia con il battipanni, oppure poteva trasformarsi in un pompiere o in mille altre cose. Ma a ogni mutazione corripondeva una sparizione. Finché un giorno Jakob sparì dalla sua bottega di tessuti dal pavimento color cannella e non ritornò più. Il piccolo Bruno lo cercò in ogni angolo. Lui, che lo aveva sempre protetto da battipanni
e scopettate, ora si sentiva molto solo. Il suo poliedrico papà gli mancava da morire. Ma un buon modo per tenerlo nella sua memoria lo escogitò: prese una matita e cominciò ad usarla. Il piccolo Bruno divenne così scrittore e disegnatore. Ma nella piccola città polacca dove viveva e insegnava ad altri ragazzi a disegnare le malinconie di altre perdite e altre timidezze arrivarono i nazisti. Bruno era ebreo e la sua vita cambiò. 


Gli uccelli, anche quelli che spiccavano il volo dai tessuti della bottega paterna, smisero di volare.


Quando Bruno fu ucciso di lui sparì ogni cosa. Restò solo un baule pieno di disegni che, nelle mani di una bambina, diventarono ricordi incancellabili.
Mi piace pensare che quella bambina fosse Nadia Terranova, l'autrice di questo struggente e affettuoso racconto.
All'inaugurazione della mostra con le emozionanti quanto raffinate tavole originali di Ofra Amit (galleria Tricromia a Via di Panico a Roma, fino al 5 febbraio), lei stessa ci racconta che, dopo aver letto Le botteghe color cannella ed esserne rimasta molto colpita, ha voluto raccontare Bruno bambino. Un bambino con molti 'troppo': troppo timido , troppo goffo, ma con una straripante immaginazione.
La volontà di mantenere viva la memoria di Bruno Schulz, raccontarne la tragica vita attraverso un percorso insolito, farlo con un registro narrativo così immaginifico, mettere a fuoco certa sua congenita estraneità rispetto al mondo che lo circondava, sottolineare il suo continuo misurarsi con l'irrealtà, il suo perenne sentirsi goffo e inadeguato rispetto alla vita, la sua enorme capacità di immaginare sono tutti elementi che caratterizzano il contenuto di questo libro e di cui molti hanno già giustamente parlato.
Ma, a mio avviso, esiste un ulteriore tema presente che dà a questa storia un carattere di grande umanità: il particolare rapporto che lega Bruno a suo padre, fatto di una commistione di istinto protettivo e di sconfinata ammirazione. Il suo testone, dalla copertina in poi, è sempre rivolto verso l'alto a guardarlo e il suo sguardo è sempre affettuoso. La sua testa è piena di pensieri che lo riguardano. E anche quando a Bruno non rimane che il vuoto lasciato dalla sparizione del papà, esso si configura attraverso il suo contrario, ovvero il pieno dei mille oggetti in cui Bruno riusciva a riconoscerlo. 


Bruno, come tanti altri bambini, ha riempito il suo vuoto con l'immaginazione e il sogno. E' riuscito a volare.

Che bello quando i libri hanno un odore e un sapore: questo sa di infanzia e di cannella!

Carla

Noterella al margine: Penso che nulla sia per caso: David Grossman, che ha sempre molto ammirato l'opera di Bruno Schulz, riconoscendone il valore e trasmettendone la memoria, è uno dei più grandi narratori di storie tra padri e figli. Penso alle storie del sognante Itamar (in Un bambino e il suo papà, Mondadori 1999 ritrovo spesso il piccolo Bruno). Di Ruti sappiamo i giochi prima di dormire (Buonanotte, giraffa!, Mondadori 2001). Di Uri ha raccontato la lingua incomprensibile (La lingua speciale di Uri, Mondadori 2007) e infine, in un atto di estremo amore, è riuscito a raccontarne la perdita (in A un cerbiatto somiglia il mio amore, Mondadori 2008).
Altra noterella: per chi abita a Roma ed è interessato a questo bel libro segnalo


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