giovedì 2 maggio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

A CHE PENSI?

La vita comincia alle medie 1.Caterina
, Alice Butaud, Lisa Chetteau, 
(trad. Silvia Turato) 
La nuova Frontiera Junior 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"A lasciare le elementari ci sono anche dei vantaggi come quello della mensa. Prima avevi il tuo piatto e basta. Se non ti piaceva qualcosa, peggio per te, ti attaccavi e ti tenevi la fame per il resto della giornata. Adesso quelli della mensa ci lasciano scegliere, possiamo prendere più di questo e niente di quello. E' una cosa che ti cambia la vita. La prima media è come entrare in un mondo dove spetta a te la scelta. Non è che sia proprio la rivoluzione, è solo l'anticamera, una specie di sala d'attesa. Hai un assaggio di cosa significa essere una persona ed essere considerata come tale, con libero arbitrio sulle patatine fritte o i fagioli." 

L'altra grande novità è l'estinzione della cartella. Alle medie, solo zaini. 
Le medie sono un'altra cosa. 
A Caterina, appena arrivata nella nuova scuola, con i suoi amici - la Banda dei Tonni - e tra questi Esther, la sua miglior amica da sempre, la vita sta cambiando parecchio. Non ultimo per il fatto che le è appena nato un fratello, Jonas che, come tutti i neonati, conosce bene come catalizzare su di sé tutta l'attenzione in casa. Madre e padre sono sfiniti dalle molte notti insonni, dalle pappe, dai rigurgiti, dai cambi di pannolino andati male e dai molti pianti inspiegabili del bebè. I due non hanno molte energie residue da dedicare alla primogenita, Cat, tuttavia a con quel fil di voce che ancora dimostrano di avere, non smettono di chiederle "a che pensi?" e soprattutto le ribadiscono che per lei l'autonomia, e una sua vita privata, arriverà solo a quindici anni: fino a quel momento saranno loro a vegliare su di lei, senza darle la password per poter usare il computer. 
Ma tutto questo è prima. Prima di scoprire che nella nuova scuola c'è Azamat, che nella vita può essere utile mentire ma soprattutto prima di ricevere in regalo dalla signora More, ospite della casa di riposo Gli Amaranti, dove da due mesi anche i suoi nonni soggiornano felicemente, un brutto cappello piuttosto dotato. E solo per essersi finta sua nipote Yolanda con il fine di salvarla da una noiosa lezione di tango... 

George Saunders ha elaborato una interessante teoria riguardo a quello che succede nella nostra testa quando leggiamo. 
Detto in parole molto povere, la nostra mente mentre scorriamo una storia sulle pagine di un libro si barcamena in un continuo trattare tra il nostro esserci dentro e il nostro sentirci fuori, tra l'essere coinvolti e l'essere espulsi. Ossia, più e più volte capita di leggere un frammento di un testo che ci convince a tal punto dal venire percepito come una acquisizione (vuoi per immedesimazione, vuoi perché dice meglio ciò che noi abbiamo in mente ma in una forma più confusa, vuoi...) e altrettanto può capitare di leggere parti in cui siamo noi a sentirci respinti (vuoi perché lo troviamo quel prevedibile, vuoi retorico, vuoi...). Insomma, siamo sempre lì in questo curioso meccanismo per cui durante la lettura non facciamo altro che riempire una borsa ideale di crediti e poi la svuotiamo in nome di debiti che l'autore contrae con noi. 
Alla fine della lettura, se ci siamo sentiti coinvolti e convinti, succede che quel libro entra nel nostro cuore o quanto meno nella nostra biblioteca ideale. Ma a ben vedere in questa continua trattativa la cosa che si scopre è il nostro profilo personale di lettori. Guardando quello che ci convince, capiamo chi siamo. Ma questa è un'altra questione. 
Invece, a proposito di convincimento, mi vengono in mente le parole di Gottschall nel suo ultimo libro Il lato oscuro delle storie, dove tutto converge su un unico punto: noi scriviamo e raccontiamo storie per convincere gli altri. Come al solito, per me il suo pensiero è inoppugnabile. 
Tutto questo pippone teorico è per dire che La vita comincia alle medie mi ha convinto e coinvolto, ovvero nel leggerlo ho guadagnato più di quanto invece io possa aver perso. Infatti ne scrivo. 
Volendo dare concretezza al ragionamento di Saunders e un po' anche a quello di Gottschall forse sarebbe utile mettere in elenco i punti in cui mi sono detta: sì, mi hai convinto, è proprio così. Insomma annotare qui di seguito ciò che mi è piaciuto e che quindi vorrei sostenere. Per convincere gli altri. 
Il primo su tutti: l'elogio della bugia. Se ne trovano di vario tipo e anche i mentitori sono di diverso genere. Per esempio, la signora More è una mentitrice professionista: per non partecipare alle attività sociali della casa di riposo, si inventa una nipote fittizia, Yolanda. Di conseguenza mente anche Cat, impersonando Yolanda. Lei stessa ammette, a proposito: "Personalmente non ho nessun problema con le bugie. Sono come il lievito in una torta. Ne metti un po' per far gonfiare la pasta. Senza bugie la vita sarebbe piatta." Mentono, complici, anche i suoi nonni, alla grandissima. 
 Il secondo: l'elogio del candore, ovvero quella dote che hanno quelle poche persone che credono, a prescindere. Una "ingenuità" che non dubiterebbe mai di un mago o di una veggente o ancora, aggiungo io, che "sa" che i pupazzi sono creature viventi (cfr. il teorema del peluche di Chiara Valerio). 
Appartiene allo stesso candore dell'infanzia (e non solo) quel gioco che Cat fa con se stessa in cerca della prova provata che Azamat la ama: "Se papà si sta lavando i denti quando entro in bagno, allora Azamat mi ama. Se mamma è ancora in pigiama, allora Azamat mi ama. Se Jonas ha sporcato il pannolino, allora Azamat mi ama..." E via andare. 
Il terzo: il lessico famigliare. Per esempio, il gioco che padre e figlia fanno in macchina: "E se non tornassimo a casa?" risposta "E per andare dove?" O ancora, la "carezza colpevole": un genitore dice qualcosa di poco carino a un figlio e poi lo accarezza per farsi perdonare. O ancora, la domanda di una madre, che dovrebbe funzionare come passepartout: "A che pensi?" 
Il quarto: la teoria estetica secondo cui "il bello è già stato di moda. Adesso va il brutto". Secondo detta teoria tutto è molto più comodo perché qualcosa di brutto lo riconosci all'istante. Sul brutto non ci si arrovella nel dubbio, sul bello, sì. Moltissimo. 
Il quinto, complice Baudelaire: "La bellezza è sempre strana". "Non c'è bellezza banale, altrimenti non è vera bellezza." E per rimanere nello stesso ambito, per disegnare, bisogna "guardare tanto prima". 
Il sesto, quello in cui si vede con chiarezza quanto un piccolo che sta diventando grande abbia tutti gli strumenti per mandare a zampe all'aria un genitore. Questo succede per esempio a p. 124... 
Il settimo: come montare un muso nei confronti di un amico e come cercare di uscirne, annaspando. 
A parte questi sette motivi, per convincervi ancora di più, segnalo un piccolo gioiello dell'assurdo, che luccica nel dialogo delirante tra un lattante e sua sorella, a proposito della parola nessuno... 
Degno del miglior Ionesco. 

Carla

mercoledì 1 maggio 2024

ECCEZION FATTA!

AL SIGNOR GIANNI


Broccaindosso, osteria bolognese, a casa nostra è famosa dai tempi universitari della M, ossia da almeno una dozzina d'anni. Per una famiglia di leccucci come noi, il fatto che all'epoca i dolci fossero serviti in modalità all you can eat (ricordo un profiterole lasciato al nostro tavolo per diverso tempo...), lo rendeva un posto prediletto. E così si è mantenuto negli anni. 
Non c'è fiera BCBF in cui non si celebri il rito di almeno una cena da Broccaindosso. 
Nel mio cuore, Broccaindosso sta in cima per la crème caramel (fiordilatte, latteinpiedi, latte alla portoghese ecc ecc) - non pirottini monoporzione, ma vassoi lunghi su cui avanza dalla cucina tremolante, ma neanche tanto, adagiata come un vagone merci color ambra e soda, molto soda e liscia, molto liscia. All'epoca la signora mi diede anche la ricetta: uno sfondone di uova e latte e panna...
Quest'anno, nuovo passaggio, e una bella sudata per trovare un tavolo... Ogni volta che celebro il rito della cena, appena prendo posto chiedo se c'è sufficiente crème caramel, altrimenti minaccio di alzarmi e andarmene... 
La signora, l'imperatrice della crème caramel, è ormai in pensione, ma lui, "il signor Gianni", direi il capo (almeno ai miei occhi devoti), mi rassicura: ce n'è (e ne porta anche un ripresino, l'angolino a fine vassoio). E, senza parere, mi mette sulla strada del segreto: niente panna, ma... 
La seguente ricetta è un bel mischione di varie informazioni, alcune dal sapore alchemico, raccolte qui e là, ma allo stato attuale è la cosa che più rassomiglia alla créme caramel di Broccaindosso, che mi permette di sopravvivere dignitosamente tra una BCBF e l'altra.  

Ingredienti 
1 litro di latte intero 
4 uova  
210 gr di zucchero 
un grano di sale grosso 
mezza bacca di vaniglia 
la scorza di mezzo limone 

Procedimento 
Occorre molto tempo, quindi partite per tempo. 
Mettete il latte a bollire a fuoco bassissimo con 110 gr di zucchero, il grano di sale grosso, la bacca incisa e la scorza del limone. Dovete farlo sobbollire fino a che non si dimezza: un'ora e mezza, due almeno... 
Preparate il caramello con i restanti 100 gr di zucchero. Scaldatelo in una padella antiaderente e poi versatelo nello stampo da plumcake e fatelo raffreddare. 
Sbattete le 4 uova e quando il latte si è ridotto della metà passatelo con un colino per togliere ogni residuo, e versatelo sulle uova. Adesso versate tutto nello stampo con il caramello. 
Accendete il forno a 110° e mettete in un pirex dell'acqua e, sul fondo, una busta di carta del pane. Appoggiatevi dentro lo stampo (deve avere almeno due dita di acqua intorno) e fate cuocere a bagnomaria per almeno 2 ore. L'acqua, dice una delle mie fonti, non dovrebbe mai superare gli 82°. 
Si scurirà in superficie, ma per capire se è cotto infilate lo stuzzicadenti e se esce pulito, bon, chiudete lì la cottura. 
Spostate lo stampo nel frigo e lasciatecelo per almeno 12 ore, meglio 24! 

Enjoy! e buon primo maggio piovoso

Carla

lunedì 29 aprile 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

AMARANTA


Graphic novel di grande successo, di critica e di pubblico, negli Stati Uniti, ‘Amaranta’, di Kat Leyh, esce in Italia per i tipi de Il Castoro, con la traduzione di Laura Bortoluzzi.
Sappiamo bene come le graphic novel, o in genere i fumetti, attraggano giovanissimi e giovanissime per una serie di motivi, non ultimo la maggiore facilità di lettura: il testo scritto si riduce essenzialmente ai dialoghi, mentre il disegno esprime sinteticamente quello che le parole avrebbero detto con quelle che i giovani lettori percepiscono come lungaggini, la descrizione dei personaggi, degli ambienti, gli stati d’animo e così via. Non è una mia opinione personale, quanto il frutto del confronto con molti ragazzi e ragazze appassionati del genere.
Ma ridurre la lettura delle graphic novel a una scorciatoia per leggere belle storie sarebbe estremamente riduttivo.
L’esempio di ‘Amaranta’ è perfettamente calzante: la trama, infatti, è piuttosto complessa e prevede un lungo passaggio nell’antefatto della vicenda narrata; nello stesso modo, i molti personaggi colgono aspetti diversi del vissuto di ragazzine e ragazzini di oggi.
Sinteticamente, la trama: la protagonista, Amaranta, nel cercare il proprio cane smarrito, Good Boy, incappa nella casa di una presunta strega, che si dice si nutra proprio di animali morti sul ciglio della strada. Lì trova effettivamente il suo cane, che però è stato soccorso e curato da Jacks, l’anziana signora che, ben lontana dalle dicerie, raccoglie gli animali infortunati e quando, disgraziatamente, non sopravvivono, ne ricompone le ossa per ricreare il loro scheletro. Amaranta si deve dunque ricredere sul conto della vecchia signora, che le pare ogni giorno più affascinante, nonostante abbia un occhio solo.
Frequentandola, non solo impara quel delicato sentimento della pietas, che l’avvicina agli animali morenti, ma scopre, soprattutto, che fra le anime di questi animali e Jacks c’è un legame magico.
La magia non è l’unico filo conduttore del racconto: intrecciato al rapporto sempre più sorprendente con la ‘strega’, c’è il mondo degli affetti di Amaranta: la madre single, l’amico nato in un corpo sbagliato, la nonna con un passato che si ricollega alla nostra Jacks.
In queste storie che si intrecciano sempre più strettamente c’è un fortissimo richiamo alla contemporaneità, alla vita complessa dei più giovani, soprattutto rispetto all’identità di genere.
Fare fronte all’articolatissima complessità delle umane relazioni, in cui già in partenza è difficile definire chi si è, non è affatto semplice, ma il linguaggio immediato della graphic novel aggira la reticenza che talvolta si trova nei romanzi per ragazzi.
Immediatezza non è superficialità e ‘Amaranta’ ne è una dimostrazione: al di là dell’impronta magica, che alleggerisce tutto il racconto, i temi trattati, dall’identità di genere al rapporto con la natura e con gli animali non umani, sono raccontati con intelligenza e sensibilità.
Quanto poi al lato grafico, su cui non posso dilungarmi più di tanto, ho trovato particolarmente efficaci le caratterizzazioni delle due protagoniste, Amaranta e Jacks, la prima con una prorompente chioma afro tinta di giallo e con una predisposizione alle esplosioni di rabbia, la seconda raccontata nella sua intrigante ambiguità. Per non parlare poi di Good Boy, il simpatico cane a tre zampe che segue ovunque la sua umana.
Per quanto detto sopra, consiglio la lettura a ragazze e ragazzi di ampie vedute, a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Amaranta”, K. Leyh, trad . L. Bortoluzzi, Il Castoro 2024




venerdì 26 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

L'IMPASSIBILE JON

Papà è un albero, Jon Agee (trad. Alessandro Zontini) 
Il Castoro 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni) 

"Dai, papà, facciamo gli alberi! 
 Facciamo che le braccia sono i rami, il corpo è il tronco, e le gambe sono le radici. 
 E poi stiamo fermi. 
 Così. 
Va bene, Maddy, ma solo per un minuto! Oh."
 
Chi ha detto oh? Un piccolo gufo ha subito approfittato di quel ramo - più basso degli altri, più morbido degli altri, più caldo degli altri. Quindi su quel papà albero adesso c'è un gufetto che si è accoccolato tra spalla e collo, un pettirosso approfitta dei riccioli e li usa come soffice base per il suo nuovo nido. Poi le cinciallegre, una farfalla, uno scoiattolo e una coccinella... 
Maddy, da sotto, controlla e informa suo padre dei nuovi arrivati, man mano che si presentano. 


E nello stesso tempo suo padre comincia a realizzare alcune innegabili scomodità nell'essere albero, seppure per un giorno. 
C'è da dire che Maddy si dimostra molto premurosa nei suoi confronti, soprattutto quando comincia a piovere... 

In tutta sincerità mi manca un po' quella bella rigona nera che di solito è la linea di contorno dei suoi disegni, tuttavia mi pare ugualmente irresistibile anche questa ultima uscita dell'impassibile Agee. Irresistibile perché comica, molto comica. 
Non c'è occasione in cui Agee lasci indietro il lato buffo delle cose, delle situazioni. E anche solo per questo andrebbero letti e condivisi i suoi libri. Sempre lievemente cattivello, sempre un po' schierato dalla parte dei più piccoli, Jon Agee è così magnificamente capace di lucidare le sue storie per renderle semplicemente brillanti. 


Anche in questa storia, fatta di un dialogo tra padre e figlia che si dipana per un intero giorno, non si smentisce. A ben vedere, la storia è fatta di ben poco (anche se costruite le singole inquadrature con grande maestria) e anche il contesto è ridotto ai minimi termini, le illustrazioni tutte rilavorate in digitale (come già visto nel libro Il muro in mezzo al libro) però hanno un quid che le rende a tal punto espressive, che anche qui come già si ero detto allora, il confronto con il gioco degli sguardi in Klassen torna a galla. 
Entriamo nel merito di ciò che accade. 
Una breve trattativa tra una piccola e suo padre mette subito in chiaro chi comanda tra i due: si è di fronte a quella tipologia di genitore che non si tira indietro nel scendere in agone e mettersi in gioco "alla pari" con un piccolo. E nel farlo, perde alla grande. Da cui nasce la prima ragione per ridere. 
Nello stesso modo è molto chiara la consapevolezza del potere di cui si gode la sua controparte, Maddy. Lei è meravigliosamente determinata ad andare avanti a ogni costo. 
E in questo ricorda un po' i bambini infallibili di Oliver Jeffers che se la sanno cavare in ogni circostanza, senza stupirsi mai troppo e senza perdersi d'animo di fronte alle avversità, affrontandole con i mezzi che hanno a disposizione e soprattutto non ponendo alcun limite alla loro immaginazione per uscirne indenni: Stuck (alias Nei guai!) rules! 
La amorevole Maddy qui gioca di sponda perché, se da un lato si preoccupa che il suo padre albero non si bagni poi troppo (sapendo bene che il tirare troppo la corda non converrebbe a nessuno, men che meno a lei...), dall'altro elabora una sua personale strategia per raggiungere l'obiettivo prefissosi: stare tutto il giorno fuori. 


Dunque se la prima cosa comica è la relazione capovolta tra un grande che si fa comandare e una piccola che lo comanda, seppur con il dovuto garbo, l'altro elemento di risata sta nel modo in cui Agee costruisce il racconto per accumulazione. 
E ancora una volta torna in mente il citato libro di Jeffers. Veder crescere in progressione l'assurdità della situazione è sistema collaudatissimo e non c'è possibilità che il lettore non ci caschi dentro e si sbellichi a vedere questo padre prima serafico e sorridente, perdere via via le sue certezze di essere nel gioco giusto... 


Tanto più lui inarca le sopracciglia - alza persino un po' la voce quando l'aquilone gli si incastra sulla testa - oppure assume l'espressione tra il perplesso e il perdente, tanto più Maddy è impassibile agli stati d'animo paterni ed è tutta un sorriso di soddisfazione. Come uscirne con onore? 


Ancora una volta è la comicità della situazione a suggerirla. 
Nonostante il buio, nonostante la pioggia e una intera giornata a fare l'albero, a suggerire come uscirne è mamma gufo che con una potente bubolata richiama a sé il suo piccolo che dalle spalle del papà di Maddy vola verso la protettiva mamma gufo, un ramo più in alto. 
Morale della storia: Maddy e il piccolo gufo si ritrovano alleati nell'essersi ritagliati una giornata diversa dal solito, mentre mamma gufo e padre di Maddy (debitore in eterno nei confronti di quel rapace) sono alleati per ruolo e per destino: entrambi sono stati al gioco dei loro piccoli ed entrambi ora hanno ripreso il controllo della situazione. 
Sì, ma fino a quando? 

Carla

mercoledì 24 aprile 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

LUNGA VITA A ROBIN HOOD!


Il ritorno in libreria di Wu Ming 4 non può che essere una festa: l’autore emiliano pubblica con Bompiani ‘La vera storia della Banda Hood’ e già dal titolo possiamo capire che non ritroveremo la riproposizione di una leggenda raccontata in molti modi, ma una seria ricostruzione storica degli avvenimenti che circondarono le gesta di una banda di straccioni.
Siamo nell’Inghilterra della fine del XII secolo: Riccardo Cuordileone è partito per la Terza Crociata, per sottrarre al curdo Saladino il territorio di Gerusalemme.
Il fratello minore di Riccardo, Giovanni Senzaterra, congiura per sottrarre il trono al Crociato; nobili e funzionari del regno si dividono fra lealisti e cospiratori; fra questi ultimi il feroce sceriffo di Nottingham.
Questa fitta rete di tradimenti e congiure costituisce lo sfondo su cui si svolge l’azione che vede coinvolti, all’inizio, un gruppo di ragazzini, capitanati da Little John. Si tratta di un piccolo gruppo di ladruncoli, che ha scelto di vivere nella selvaggia foresta di Sherwood, un luogo non solo naturalmente insidioso, ma anche pervaso da presenze sovrannaturali. Questo gruppo di ragazzi sassoni si adatta perfettamente alla vita nella foresta, animato com’è da un miscuglio sincretico di credenze religiose e di miti ancestrali. A questo gruppo si unisce, a un certo punto, un cavaliere crociato, reduce dalla spedizione in Terrasanta e decisamente incline alle trame e ai complotti: fedele a Re Riccardo e alla Regina Madre, conquista la fiducia dei cospiratori e si fa inviare nelle terre di Robin Hood, più termine generico che personaggio vero e proprio. Lì convince i ragazzi a compiere il colpo grosso, rapinare il convoglio che porta le nuove tasse richieste per pagare il riscatto del Re, prigioniero del duca d’Austria. Li aiuta, li addestra, ben sapendo che al di là dell’effimero successo, questa impresa segnerà la fine della banda. Il suo vero obbiettivo è smascherare i cospiratori, giusto in vista del ritorno del Re legittimo.
Quindi un doppio gioco che alla fine indicherà il destino di ciascuno.
Grande avventura, dunque, ma anche molto di più.
Questo romanzo, piuttosto breve, si segnala per diversi aspetti; l’individuazione dei personaggi, con la creazione di una carrellata di figure che risponde sia alle necessità narrative che al rigore storico: dal mendicante cieco al cantastorie, da Lady Marian alla schiera di cupi nobili normanni, attaccati al proprio potere più che alla stessa vita; Maud, la giovane mezzafata che segue John nella foresta; fino allo stesso Gisborne, il crociato.
La ricostruzione storica è accurata e puntuale, rende conto dell’ambiente di corte, intessuto di tradimenti e vendette, della crudeltà e della violenza della guerra, così come delle lotte intestine fra lealisti e cospiratori. Ma tiene fermo il punto di vista degli ultimi, dei poveracci che campano di poco e quel poco lo devono dividere con chi esige le tasse; i poveri, gli ultimi sono destinati a subire violenze e sopraffazioni, ma sono anche pronti a prendersi la loro vendetta, a sollevare quel vessillo di rivolta che le leggendarie imprese della banda Hood rappresenta.
Proprio la trasformazione di una storia, la cui veridicità è ipotetica, in leggenda trasforma il racconto in un’epopea, che trascende però dal singolo personaggio per farne una vicenda collettiva: la lotta fra ricchi e poveri, fra sassoni e normanni, fra lealisti e congiurati. Vicende che possono ben trasporsi in altri contesti e in altre epoche.
Due ultime osservazioni: il puntuale riferimento all’eccidio di ebrei londinesi, in occasione dell’incoronazione di Riccardo, che apre il romanzo con una descrizione breve e cruda, colpendo il lettore con durezza; un incipit di notevole effetto.
La frase, contenuta in un dialogo fra Gisborne e il mendicante cieco, ‘Se il mondo non è sempre stato com’è, allora può essere diverso’, mi sembra il vessillo che possiamo ancora afferrare, nonostante tutto.
Possiamo considerare ‘La vera storia della Banda Hood’ un romanzo per ragazzi? Questo suggerisce la collocazione a Bologna nello stand Giunti nella parte riservata a Bompiani. Personalmente ritengo che il romanzo sia per tutti, lettrici e lettori di ogni età a partire dai quindici anni. Prevedo non poche difficoltà nella lettura per i riferimenti storici, che non sono mero contorno, ma parte essenziale della narrazione. Suggerisco una lettura collettiva, partecipata, che chiarisca i punti oscuri e metta in luce l’innegabile forza di questo romanzo.

Eleonora

“La vera storia della Banda Hood”, Wu Ming 4, Bompiani 2024






 

lunedì 22 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IPOTESI SU UN "LETTORE CHE NON SI FIDA" 

The Kissing Game. Short Stories, Aidan Chambers (trad. Marta Barone) 
Equilibri 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 14 anni) 

"Il giorno prima avevo compiuto undici anni. Nel cortile della scuola giocavamo al gioco dei baci. Era una specie di rito. Tiravamo a sorte per decidere le coppie, un maschio e una femmina. Poi, una coppia alla volta, andavamo dietro la palestra dove nessuno poteva vederci e dovevamo restare lì finché gli altri non finivano una delle canzoni della top ten. Pensavamo fosse roba forte! C'era una ragazza che mi piaceva. Era la prima per cui avessi mai preso una cotta. E credevo che lei provasse lo stesso per me. Avevo una voglia matta di baciarla. Fino ad allora, era stato solo un gioco, e la parte dietro la palestra non mi interessava un granché. Ma quel giorno, quando estrassi a sorte, venne fuori lei..." 

Forse nasce da questo episodio, che lui stesso ha scritto su un foglio, la patologica timidezza di James. 
In questa lettera che fa recapitare dal postino complice, a Rosie, la nipote dei suoi vicini di casa, lui le racconta della sua prima fallimentare e traumatica volta al "gioco dei baci". Da quelle poche ma sincere righe traspare tutto il suo impaccio nelle relazioni con le sue coetanee, Rosie inclusa, che ormai dura da anni. Anche lei, però, sembra avere qualcosa che la turba e che l'ha allontanata da casa, facendola arrivare a casa degli zii. A uso e consumo del vicinato è stata messa in giro la voce che Rosie soffra di agorafobia, ma le cose sono in realtà diverse. E sarà proprio Rosie ad aprirsi con James, quello stesso giorno - al di qua e al di là della staccionata di legno che tiene separati i rispettivi giardini. Sarà lei a raccontargli di come anche nel suo caso il "gioco dei baci" sia stato fatale: altro che pochi baci ed effusioni dietro la palestra di scuola per il tempo di una canzone... Per lei una terribile violenza di gruppo, subita qualche tempo prima. Si è trattato di un vero agguato organizzato da quello che lei credeva il suo amato ragazzo con la sua banda di 'compari'. 
Rosie guida James verso quello che sembra un tenero e innocuo gioco fatto perché entrambi possano superare il trauma di quell'altro gioco finito male: la mano destra di lui si intreccia con la sinistra di Rosie attraverso la staccionata, le due teste al di là del bordo si avvicinano verso un bacio dolce e appassionato. E l'esito verso la ricerca di un qualche riscatto nei confronti della vita, trova invece un finale che toglie anche l'ultimo respiro all'innocenza. Ormai è finita. 

Chambers è un autore necessario. 
Ragion per cui in casa Equilibri, forse i più devoti apostoli del chambersianesimo, non si perde occasione di diffondere la sua poetica e soprattutto i suoi pensieri e le sue pratiche intorno alla letteratura: dalla 'rilettura' del diario di Anne Frank in una prospettiva ancora ulteriore che possa servire a una riflessione sull'adolescenza tout court, ai suoi 'manuali' su come far radicare in modo efficace e duraturo la letteratura di qualità nelle terre dove pascolano i lettori difficili.
I suoi romanzi circolano in Italia da trent'anni: la stragrande maggioranza pubblicati da Rizzoli, ma anche Giunti e Einaudi hanno reso merito alla sua scrittura, infatti The Kissing Games, arriva per la prima volta con Giunti nel 2011. Un libro di racconti in grado di racchiudere in sé le diverse qualità che contraddistinguono la visione di Chambers sulla realtà, quella degli adolescenti in particolare, e il suo modo di trasformarla in letteratura. 
La forma del racconto sembra essere la casa ideale dove accogliere il "lettore che non si fida". Lui, "il lettore che non si fida", lo annusa perché quel titolo è un buon gancio, ma poi pensa che possa rappresentare per lui una noia, se non una fatica: più di duecento pagine. Quindi se ne allontana e, a raccogliere storie, va altrove. Ma se solo "il lettore che non si fida" ha fatto il gesto di sfogliare The Kissing Games prende atto di due cose subito evidenti. 
La prima: sono racconti, appunto. Roba breve, nella maggioranza dei casi, che si esaurisce in poche pagine. E, per di più, alcuni sembrano addirittura dei copioni. Dialoghi serrati che si leggono in un fiato: la flash fiction, che si compone di due parole che si accendono luminose nella sua testa di "lettore che non si fida" (E Chambers lo sa bene). E se il caso vuole che gli corra lo sguardo su Tipo vivere il gioco è fatto. 
Lì dentro c'è qualcuno che conosce. E, una volta arrivato in fondo, dopo 20 secondi al massimo, accade la seconda cosa: il "il lettore che non si fida" capisce che quel finale è un buon finale. 
Di solito sono gli incipit e finali a colpire. Quindi, un buon finale, ossia un finale che non ti aspetti, fa il resto. La cosa che potrebbe succedere è che il solito "lettore che non si fida" ne legga un secondo, di flash fiction, diviso in scene, magari Il dibattito su Dio, e in qual caso verificherà che Chambers è anche un buon narratore dell'assurdo. Effettivamente sembra un piccolo pezzo di teatro che odora di Beckett, dove si parla di di Dio e si dimostra il teorema della pistola, ma con una banana. 
Se il "lettore che non si fida" ora decide di fidarsi almeno un po' e quindi andare verso i racconti più lunghi, e comincia con ordine, troverà la storia di una ragazza che sta cercando un suo posto nel mondo e lo fa con prevedibili ingenuità, desiderio, irrequietezza e sfida. Da Cindy (un soprannome che è tutto un programma) a Ursula, lei pensa sia sufficiente mascherarsi con i vestiti di sua sorella per arrivare a essere visti o notati dagli altri... 
Il "lettore che non si fida" oramai ha cominciato a fidarsi e a questo punto va avanti. Segue Chambers che mette in scena in una caffetteria uno scorcio di vita di relazione tra un ragazzo e la sua ragazza, che gli compare davanti con il suo nuovo ragazzo. Oppure "il lettore che adesso un po' si fida" ascolta Chambers mentre gli racconta le difficoltà che gli adolescenti incontrano nei confronti degli adulti: sia che abbiano voglia di raggiungere una qualche indipendenza economica, sia che li sfidino, opponendosi alla loro manifesta stupidità nel volersi attenere per forza a una regola scolastica, palesemente fasulla. 
Poi arriva Kissing Game, che è il cuore pulsante del libro che poi prosegue con altri brevi e splendenti racconti. Uno che fotografa un mondo fuori dagli stereotipi e dalle convenzioni - a costo zero (confesso il mio preferito, per quanto riesce a mettere in crisi il pensiero comune che si può riassumere in consumo quindi esisto) - un altro che rende omaggio alla profondità di pensiero che emerge nella letteratura russa, capace di riassumere in un'unica parola una delle sensazioni più complesse che attraversa l'intricato vivere degli adolescenti: toskà
Da questo punto in poi, il nostro lettore è a un passo dall'averlo letto tutto... 
Arrivato fin qui, speriamo, starà pensando che in fondo valeva la pena fidarsi di Chambers, perché lui scrive buone storie ed è onesto con il suo lettore. 
E in quanto tale, aggiungo, è necessario. 
E questo, solo per chiudere il cerchio. 

Carla

venerdì 19 aprile 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

CHI ERANO I PIRATI?

Quando si scrivono libri di divulgazione capita, a volte, di dover sfatare alcuni miti. É esattamente quello che fa l’autrice russa Ekaterina Stepanenko, tradotta da Tatiana Pepe per i tipi di Caissa Italia, nel bel libro ‘Tutta la verità sui Pirati’, illustrato da Polja Plavinskaja.
La figura del pirata ha alimentato storie paurose e avventurose, ambientate nei luoghi più esotici del mondo; e intorno alle vite di questi fuorilegge sono cresciute leggende che vivono tuttora.
Quello che svela questo libro ben illustrato e molto documentato è che in realtà molte delle cose che attribuiamo ai pirati in realtà non sono vere, complice la lettura de ‘L’Isola del Tesoro’ di Stevenson.
Predoni sono esistiti già nell’antichità, da quando il mar Mediterraneo è stato solcato da navi di mercanti; e nei secoli non sono mai mancate imbarcazioni pirata, che hanno allargato il loro raggio d’azione dalle coste europee a quelle africane, asiatiche, americane.
Quanto ai miti sfatati, cominciamo dal più clamoroso: la bandiera nera col teschio, chiamata il Jolly Roger, non era il vessillo universale della pirateria, ogni ciurma aveva il suo, ovviamente inquietante il necessario. Spesso le navi pirata non erano grandi e armate oltre ogni limite: più importante era la velocità e la destrezza della ciurma, che navigava, si può ben dire, con strumenti approssimativi.
Non tutti i pirati erano nemici dell’ordine costituito: i corsari erano al soldo di Re e Regine, nel fare la guerra ‘sporca’ ai concorrenti commerciali.
La vita di bordo era decisamente difficile: era facile morire per le ferite mal curate, per le infezioni portate dai ratti, per la pessima alimentazione; l’accurata descrizione degli strumenti di bordo, dei farmaci che spesso si riducevano all’alcol nelle sue varie forme, all’alimentazione povera di vitamine smonta l’immagine ‘eroica’ del pirata, che tutto sopportava per vedere almeno, alla fine, la distribuzione equa del bottino. Parliamo poi di tesori: le cronache raccontano dei lasciti dei pirati più famosi, che hanno pensato bene di nascondere i loro beni in luoghi talmente inaccessibili che tuttora non sono stati trovati.
La pirateria era cosa da uomini, con le dovute eccezioni: la francese Jeanne de Belleville, l’irlandese Grace O’Malley, la cinese Zhèng Shì, che, come sappiamo, ha ispirato il romanzo di Morosinotto, ‘La più grande’.
Un altro mito da sfatare è quello dell’onnipresente pappagallo appollaiato sulla spalla del pirata. In realtà pappagalli, e altri volatili, erano merce facile da mantenere in vita per essere venduta sulla terraferma.
In sintesi, l’immagine della pirateria attraverso i secoli perde un po’ del suo fascino, ma acquista molto in realismo, dando una ricostruzione attendibile non solo della vita dei fuorilegge, ma anche delle tecniche della navigazione, dei conflitti commerciali, delle armi, dei farmaci, degli stili di vita dei marinai.
Una ricostruzione storica affascinante e attendibile allo stesso tempo, con la preziosa revisione specialistica. Rappresenta anche uno sguardo sul presente, dato che la pirateria non è affatto finita e continua a entrare nelle cronache anche belliche.
Consiglio caldamente la lettura di questo bel libro illustrato sia a chi è attratto dalle avventure marinare sia a chi è interessato alla ricostruzione storica della vita nei secoli passati; può essere letto a partire dai sette anni, ma anche i più grandi troveranno notizie e osservazioni interessanti.

Eleonora

“Tutta la verità sui pirati”, E. Stepanenko, ill. P. Plavinskaja, trad. T. Pepe, Caissa Italia 2024





mercoledì 17 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TUTTI DRITTI A UNA FESTA!

Una coda per Nisse, Eva Jacobson (trad. Giola Spairani) 
Iperborea 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Gli è caduta la coda, dice Hasse. 
Dove? chiede il dottore. 
Non lo sa, dice Hasse, Quindi ne vorrebbe una nuova. Lei che code ha? 
Eh, dice il dottore, io di code non ne ho. 
Sì, ma, dice Hasse, qualcosa ce l'avrà pure! 
Della corda? Un calzino? Una cravatta? chiede il dottore. 
Ma sì, tu cosa dici, Nisse? chiede Hasse. 
Che cos'è una cravatta? vuole sapere Nisse. 
Una cosa che ci mettiamo per essere eleganti, dice il dottore. 
Allora prendiamo la cravatta, dice Hasse." 

Con ogni evidenza Hasse e Nisse sono amici (qualcuno potrebbe pensare anche fratelli). E insieme hanno in progetto di andare a una festa. E mentre ci stanno andando Hasse si accorge che Nisse ha perso la coda. 


La cercano un po' in giro senza successo quindi vanno dal dottore che attacca al fondo schiena di Nisse una elegante cravatta. Sulla via per la festa, ostentando la bella cravatta che adesso sembra addirittura uno strascico, incontrano la maialina che, seduta sotto un albero, 'indossa' la coda di Nisse. L'ha trovata e quindi adesso la considera sua. Si litiga un po' - in verità solo Hasse e lei - fino a che la maialina la restituisce in cambio di un po' di sensi di colpa che cerca di far venire a quei due. 
Cambio per cambio, loro non si fanno venire i sensi di colpa ma le regalano la cravatta che lei prontamente indossa come fosse una bandana. 
E tutti e tre vanno alla festa per mano: chi con la coda riconquistata, chi con una cravatta in testa e chi convinto di essere il capo e di aver saputo gestire la difficoltà al meglio... 

Se letta con testa svagata, Una coda per Nisse, potrebbe sembrare quello che proprio non è: poca cosa. Che cosa c'è di tanto straordinario in una storia che racconta di perdere una coda, metterne una posticcia e poi ritrovarla e ripartire da qui per andare a una festa? 
Almeno tre cose: 
1) i protagonisti 
2) il precipizio dell'assurdo 
3) la velocità con cui ci si cade dentro 
Partiamo dai protagonisti. 
Sono quattro di cui due, maialina e dottore, li si potrebbe definire caratteristi, poco più che comparse. 
Il dottore è un pragmatico, onnisciente, risolutivo ed economico. Quattro doti che tutti noi vorremmo avessero i medici che frequentiamo.
 

La maialina è anche lei piuttosto tipica: una di quelle creature che hanno il dono di far sentire gli altri colpevoli, ancora prima di aver mosso un dito. Sanno piangere su se stessi, per distogliere gli interlocutori dal nocciolo della questione (ne ho incontrate diverse di maialine così). 
Nella fattispecie, lei dimostra di avere una concezione della proprietà piuttosto estesa, per cui se trova una coda perduta, non pensa di cercare il legittimo proprietario per riportargliela, al contrario la indossa e la considera cosa sua. E quando viene scoperta e non ha argomenti di difesa decide di contrattaccare e, spiagnucolando, far venire i sensi di colpa al legittimo proprietario della coda medesima, Nisse appunto, e al suo 'manager', Hasse. 
Ecco, Hasse. L'assoluto mattatore di questa storia: quello che dice, fa, briga, gestisce la vita del suo incerto amico. A tal punto Hasse è la mente della coppia che parrebbe che con Nisse ci sia una qualche parentela: fratello maggiore dal grande carisma? Il che spiegherebbe la lieve, quasi impercettibile, differenza di altezza e robustezza tra i due...


Di fatto è lui che muove tutte le sfere celesti: si accorge della coda sparita, si preoccupa, cerca di ritrovarla, cerca un rimedio migliore, argomenta con il dottore, detta i tempi e il ritmo dell'incedere per arrivare alla festa, discute con la maialina, la contrasta, la blandisce e con lei parrebbe stabilire forse anche termini dello scambio... 
Nel suo cono d'ombra c'è Nisse che è l'incertezza fatta e finita. Vive in una dimensione sempre un po' nebulosa, si fa consigliare e non sa mai bene cosa gli riservi il futuro: Come faccio a saperlo? 
Secondo aspetto: il precipizio dell'assurdo è lì davanti agli occhi di tutti. 
Perdere la coda, come se niente fosse, non accorgersene nemmeno. Gironzolare a cercarla e pensare che possa essere quel tronco d'albero o il gambo di un fungo o una piuma strappata a un uccello (che non ha gradito) e quindi decidere di andare dal dottore per trovare la soluzione, che a sua volta è altrettanto inverosimile: corda, calzino o cravatta? Riaverla in un batter d'occhio - attaccata con ago e filo, come potrebbe accadere a un pupazzo? Ma Eva Jacobson che mondo ci sta facendo vedere, in questa sua prospettiva spesso a volo d'uccello? 
E ultima ma non ultima arriva la terza bellezza che è la velocità con cui tutto procede. 
Lettura ad alta voce per eccellenza: una festa!


Si va di gran fretta: praticamente solo dialoghi (in un bell'italiano parlato), un fraseggiare che lascia indietro addirittura le virgolette. Non c'è il tempo per prendere fiato e ogni cosa accade in modalità accelerata. Unica accortezza è quella di dire chi dice cosa. 
Veloce è anche il disegno, matita per dare espressioni, per costruire piccoli gesti significativi, fare scarpette, fiorellini tutti uguali, fili d'erba, sassolini e 'occhi' sui tronchi di betulla. I contesti sono ridotti all'essenziale e gli oggetti si adeguano. 
Bumburubumbumbum si attraversa rotolando una allegra sequenza di assurdità, tipica modalità di pensiero di un bambino o di una bambina nella media: vietato fermarsi, o rallentare a pensare o a obiettare.


Stiamo andando tutti dritti a una festa! 

Carla

lunedì 15 aprile 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

LUPI ITALIANI

Finanziato dal progetto europeo Life Wolfalps Eu, esce il bel libro dedicato ai lupi, ‘I lupi delle Alpi’, scritto da Laura Scillitani, con le illustrazioni di Irene Penazzi e la revisione scientifica di Francesca Marucco. L’editore è Editoriale Scienza, che, come sempre, propone libri di grande rigore e attendibilità.
In Fiera di libri di divulgazione ne ho visti diversi: belli, affascinanti, intriganti, divertenti, talvolta anche superficiali e poco curati. Ne parlerò nelle prossime settimane. ‘I lupi delle Alpi’ è un bel libro, preciso nella descrizione del lupo e del suo habitat alpino; è un bel libro anche perché affronta la questione più spinosa, quella della coabitazione fra umani e selvatici, con il giusto equilibrio, respingendo un approccio romantico, e mistificatorio, a uno degli animali più affascinanti e, nello stesso tempo, coinvolgendo il giovane lettore e la giovane lettrice in una prospettiva di nuova convivenza fra natura selvatica e uomo.
Il libro, ampiamente illustrato, descrive le caratteristiche biologiche e comportamentali del lupo; in particolare sottolinea la struttura sociale a base familiare. Ogni branco, infatti, è costituito da una coppia di riproduttori e dai loro figli; il branco non diviene mai troppo numeroso e i giovani adulti sono via via indotti ad allontanarsi dal branco. Questo momento, detto della dispersione, è il più pericoloso per i giovani lupi, che devono affrontare percorsi accidentati fra strade, città, fiumi, terreni coltivati e così via. Quando incontrano un altro individuo isolato, di sesso opposto, possono formare un nuovo branco. Ed è proprio questa la storia di una coppia di lupi divenuta celebre: Slavc, maschio proveniente dalla Slovenia, e Giulietta, lupa italiana nella zona dei Monti Lessini.
La loro è una bella storia, sono rimasti insieme una decina d’anni, dando vita a ben quarantadue cuccioli che speriamo popolino ancora la zona delle Alpi Venete (alla faccia di cacciatori e amministrazioni locali ostili).
Questo infatti è un altro tema scottante: nonostante l’espansione del lupo sia un fenomeno naturale, in molti nel Nord Italia sostengono che debba cessare le legislazione a protezione del lupo, rendendolo di nuovo cacciabile.
Fra interessi economici reali, soprattutto di allevatori, e pressioni di una delle lobby più potenti d’Italia, quella dei cacciatori, il destino del lupo europeo è sempre appeso ad un filo.
Per questo progetti come quello che ha dato vita anche a questo libro, con il contenuto di informazione corretta e approfondita che lo distingue, sono indispensabili affinché non si facciano altri passi indietro nella conservazione di aree di natura selvatica e della fauna che le abita.
Per quanto sia difficile pensarlo nel prossimo futuro, la conservazione non può che passare dal rispetto della selvaticità, dal riconoscimento della alterità di ambienti e animali che non possono ridursi agli ambienti antropizzati.
Speriamo che le prossime generazioni, grazie anche a libri come questo, facciano tesoro di questa consapevolezza.
Consiglio caldamente la lettura di questo libro a bambini e bambine a partire dagli otto anni.

Eleonora

“I lupi delle Alpi”, l. Scillitani, ill. I. Penazzi, Editoriale Scienza 2024



venerdì 12 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

AL CANTO DEL NEGRIN 

Al canto del gallo, Fabian Negrin, Mariachiara Di Giorgio 
Edizioni Corsare, 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Tra un re e quello successivo, trascorrevano anni in cui a regnare erano soltanto il caos e la confusione, la rovina e lo scompiglio. 
Nell'attesa che i galli si mettessero d'accordo e annunciassero il nome del re, non c'era nessuno a ordinare la riparazione dei lampioni stradali o a deliberare la raccolta delle foglie secche che otturavano i fossati per lo scolo dell'acqua piovana, cosicché fango e sudiciume rendevano impraticabili le strade buie. 
I marciapiedi formicolavano di topi e topilavano di formiche che rosicchiavano la spazzatura che nessuno raccoglieva." 

Usanza strampalatissima quella di quel regno chissaddove in cui a ogni morte di sovrano erano i galli - non uno ma tutti all'unisono - a decretare il nome dell'erede al trono. 
Le possibilità che si accordassero per cantare lo stesso nome era bassina, vicina allo zero. E infatti per lunghi periodi, senza governo, tutto andava a scatafascio: lupi e tigri si aggiravano indisturbati per le strade. 
Il cattivo odore penetrava fin nelle case, non c'era legna per far fuoco, nei campi le coltivazioni marcivano e le scimmie si nutrivano indisturbate di mango e guanabana, mentre i malati non li curava più nessuno perché medici e infermieri non ricevevano stipendio da mesi e quindi scioperavano... 
Quando questa terribile situazione stava per raggiungere il suo estremo, allora qualcuno invocava per sé la corona, giurando al mondo di aver sentito chiaramente cantare i galli il suo nome, fosse Roberto o Carlo poco importa. Nascevano così le fazioni dell'uno e quelle dell'altro che se le davano di santa ragione fino ad arrivare alle armi pesanti, persino la dinamite! E alla fine uno dei due cedeva e l'altro governava su un popolo decimato. 


E così per qualche tempo tutto si rimetteva a posto. Si ripulivano le strade del regno, la gente tornava a lavorare, i malati guarivano, i campi erano di nuovo rigogliosi, le lavandaie sbiancavano nuovamente le tovaglie da mettere in tavola e i fornai rifacevano il pane da metterci sopra. Ma durava finché il sovrano restava in vita. E poi tutto ricominciava come prima... 
No, quando morì Carloberto I qualcosa effettivamente cambiò. 

Negrin alle tastiere e Di Giorgio ai pennelli, su uno stesso libro. Ah, beh beh... parecchio interessante.
Andiamo in ordine di altezza e partiamo da Fabian Negrin che scrive un testo che molto gli corrisponde: una buona idea di partenza, una bella metafora che tutto contiene, un bel gusto per il crescendo, il suo senso dell'ironia, il divertimento nel giocare con le parole, una punzecchiatina politica, un trionfatore finale, scelto nella categoria umana che lui preferisce. Di più non si può dire... 
Di rado, forse un'unica volta, Negrin ha affidato i suoi testi a illustratori che non fossero lui medesimo. Questo perché è un assoluto maestro nell'intrecciare alla perfezione le due lingue che conosce e parla a meraviglia: la scrittura e il disegno. Concepite in un'unica testa, anche con toni tra loro molto diversi, le due lingue si sono sempre molto ben armonizzate tra loro. E i risultati tutti li conoscono. 
I suoi testi illustrati da altri, a quel che mi consta, compaiono solo ne Il mondo invisibile e altri racconti, uno dei più bei libri di sempre. 


Qui accade di nuovo. La ragioni potrebbero essere varie: troppo lavoro e poco tempo, oppure la voglia di mettersi alla prova nel non fare quello che ha sempre fatto, oppure una richiesta di maggiore novità da parte dell'editrice, oppure ancora potrebbe essere un gesto simbolico per dare 'ufficialmente' merito a un talento. Un talento, quello di Mariachiara Di Giorgio, che libro dopo libro, da qualche anno si andato consolidando un bel po'. Una sorta di incoronazione (!), cresima, attestato... alla sua incontestata bravura. Come se ce ne fosse bisogno. 
Siano quali siano le ragioni che hanno portato Al canto del gallo a essere quello che è, poco importa. La cosa che appare evidente è che entrambi si sono presi il loro rispettivo spazio per dire e per divertirsi. 
Il dire: entrambi hanno detto tanto. 
Da un lato un testo che ha la cadenza della fiaba e come questa necessita di un respiro maggiore rispetto al discorso asciutto di un albo, un testo che ha voglia di dire qualcosa sul malgoverno. 


Dall'altra le figure di chi ha una gran voglia di disegnare il più possibile. Di riempire lo sguardo dei lettori con immagini anche molto diverse tra loro: scene di giorno, di notte, tavole grandi e dettagli minuti, soluzioni curiose, adulti e bambini, animali -topi grandi e tigri medie- ricchi e poveri, gente che corre e ragazzini che si squadrano, scorci di architetture.


Persino i riflessi nelle pozzanghere si riempiono di figure e dicono cose. 
Il divertirsi: entrambi si sono tolti il gusto di giocare. Il proverbiale 'sense of humor latino americano', altro che inglese, di Fabian Negrin è uno dei suoi marchi di fabbrica. Come mi è capitato di notare altrove, la circostanza che l'italiano non sia la sua lingua madre, sebbene lo parli meglio di molti autoctoni, gli permette di vedere nelle parole "ironie" su cui gli italiani passano noncuranti: i marciapiedi che formicolano di topi e topilano di formiche, è esemplare. 
Si è divertito nella capriola del finale, si è divertito a privilegiare i non privilegiati, e a far trionfare chi storicamente non trionfa mai, si è divertito a esagerare sempre tutto almeno un po' e sempre un po' di più, si è divertito nel trovare le ricercatezze della lingua delle fiabe... 
E Mariachiara Di Giorgio, invece di trovare una voce unica, si è divertita a trovarne cento diverse. Ha giocato spesso e volentieri con le possibilità che il testo le dava, ma si è anche divertita a dire a modo suo quel che il testo tace. E a giocare tra le ombre dei secondi piani e la nettezza del primo piano: dietro una battaglia all'ultima padella, davanti un ragazzino e una ragazzina con lo sguardo da OK Corral. Si è tolta il gusto di disegnare tutto il movimento possibile: dalle pozzanghere ai pennuti, dalle tovaglie al vento alla gente che va e viene. 
Si è divertita con il buio e l'ombra e con la luce e anche con la luce nel buio e la luce nella luce, mostrando quanto è in grado di fare. 


E poi mi pare si sia divertita a citare i grandi maestri del passato e anche un po' se stessa, per esempio in quel coccodrillo in fila per entrare a qualcosa di molto simile al pronto soccorso del Fatebenfratelli all'Isola Tiberina. E anche forse a scherzare con i lampioni e la luna e il suo suggestivo quanto improbabile riflesso... 
Ma si sa, i giochi con la luna li hanno fatti i più grandi (Sendak rules). 

Carla